Il cantiere dei pc builder non si ferma mai

Variegata e difficile da monitorare la categoria degli assemblatori conta un numero interessante di operatori. Alcuni disongono di una propria rete di vendita e associano il lavoro di “costruttore” a quello di distributore

In un mondo sempre più globalizzato, in un settore industriale come l’Ict dove non passa mese (o settimana?) in cui qualche grande produttore non acquisisca un’azienda di più piccole dimensioni logica vorrebbe che i produttori nazionali di pc, che pure nel passato hanno avuto il loro momento di gloria, fossero ormai spariti di scena. Invece non è così. Questi capitani coraggiosi saranno meno di un tempo ma restano pur sempre una realtà significativa, con una loro evidente capacità di generare profitto. Per cercare di capire meglio questo fenomeno abbiamo chiesto lumi a Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi.

Ci può fare in due parole un ritratto di famiglia dei produttori italiani di personal computer?

Sul mercato italiano c’è veramente di tutto: dall’assemblatore professionale al piccolo operatore, a quello che in qualche occasione ho sentito definire “assemblatore di condominio”; un operatore semi-professionale, sovente un reseller, che a tempo perso mette in piedi sistemi con configurazioni dettate più dalle opportunità del momento in termini di costi o campagne sulla componentistica che da esigenze di mercato (i suoi clienti sono i condomini, gli amici, i vicini di casa). Gli operatori professionali peraltro agiscono secondo i criteri tipici del settore, con gestione di reti di reseller e indirizzamento di operatori anche di grandi dimensioni della Gdo e Gds. Comunque, a fronte di uno spazio di mercato minore rispetto a qualche anno fa, non si registra una significativa riduzione del numero di piccoli assemblatori, mentre i medi e i grandi, soggetti a politiche più rigorose in merito a costo del lavoro, a investimenti di marketing a sostegno del brand, a obblighi di continuità delle produzioni, a mpegni di rilievo nelle certificazioni, fanno registrare una contrazione del proprio business, e in alcuni casi optano per l’importazione di prodotti finiti dal Far East rispetto all’assemblaggio in Italia.

In totale a quanto ammonta, in termini di fatturato, la produzione italiana?

Posso dire che le prime sei grandi aziende nel 2007 hanno rilasciato sul mercato quasi 820.000 pc, per un fatturato di oltre 486 milioni di euro. Questi volumi rappresentano il 15,6% del totale dei pc venduti in Italia, e il 36,2% del totale dei pc desktop (ormai gli assemblati italiani sono pressoché solo desktop, e marginalmente notebook e server).

In fondo una quota di mercato non trascurabile. Ma se fino ad ora questi operatori hanno trovato il modo di sopravvivere, ossia di fare profitto, è pensabile che ciò accada anche nel prossimo futuro?

Questo non è certamente un mercato in crescita, e anche sotto il profilo della profittabilità c’è molto da dubitare sulla sua tenuta nel tempo, in ragione principalmente della aggressività dei competitor internazionali che traggono dagli elevati volumi un forte vantaggio competitivo sul fronte del pricing: acquistare componentistica in quantità rilevanti, accedere a contratti Oem basati su volumi di rilievo destinati al mercato mondiale, fa certamente la differenza.

Ci può dire se nel prossimo futuro questo mercato sarà in crescita o in calo?

Per il 2008 la previsione, sempre per i primi sei produttori, è di quasi 810.000 pc, per 423 milioni di euro di fatturato, con un decremento marginale in unità ma significativo in valore e con un sensibile decremento del market share.
Ci sono poi gli operatori minori, che fanno ancora registrare volumi significativi anche se estremamente frammentati, fino a poche centinaia (in qualche caso, decine) di pc assemblati su base annua; si tratta spesso di pc commercializzati da dealer e reseller che nell’assemblaggio artigianale riescono spesso a fare fatturato e margini, anche se con valori di business modesti.

Come dire che molti di questi produttori sono a rischio sopravvivenza?

L’elevata compressione dei prezzi, l’erosione dei margini, l’attrazione forte verso i brand fanno dell’assemblato un prodotto che perde progressivamente la propria attrattività. Il che non vuol dire che il comparto andrà a scomparire; è probabile che rimarrà un fenomeno circoscritto, caratterizzato da pochi attori di medie e grandi dimensioni che cercheranno nella capacità di innovazione più che nella componente prezzo nuovi vantaggi competitivi, e da tanti piccoli operatori che troveranno nella flessibilità, nell’artigianalità, talvolta nella spregiudicatezza, la leva per un proprio piccolo e circoscritto vantaggio competitivo.

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