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Da Idc le istruzioni per una trasformazione digitale

Data, digitalizzazione, distruption sono le tre dimensioni della trasformazione digitale secondo Sergio Patano, Research & Consulting Manager di Idc che apre l’edizione italiana della Idc Digital Transformation Conference 2016.

Per esempio, i dati. “A fronte dell’1,2% di crescita della popolazione mondiale abbiamo un 40% di incremento dei dati – ricorda Patano – ciò corrisponde a circa 5600 terabyte di informazioni generate da un singolo individuo”.

A questo aggiungiamo che nel 2020 avremo più di 30 miliardi di oggetti connessi che genereranno una network di networks di things con un indirizzo Ip spesso indipendente dall’intervento umano. Di conseguenza avremo un incremento di dati utili che passerà dal 22% del 2014 a (solo) il 38% nel 2020 a causa di operazioni di conversione ancora troppo onerose come la digitalizzazione cartacea.

Ciò significa che, a tendere, la questione non riguarda tanto il se e come memorizzare i dati ma, piuttosto, come filtrarli per l’uso più opportuno.

Seconda dimensione, digitalizzazione. “La trasformazione digitale ha cinque facce – prosegue Patano –: la leadership, ovvero individuare i leader della trasformazione. La omniexperience, un’esperienza unica che accomuni clienti e risorse aziendali. La trasformazione delle informazioni, o del modo in cui si trattano, i modelli operativi e, infine, le persone”.

La distribuzione della spesa secondo le ricerche IDC recita un 38% di quota sui processi, un 33% sulla gestione delle informazioni, un 25% sulla omnipresence: un sbilanciamento eccessivo a danno dell’asset che sembra essere fondamentale, le persone.

Altri dati a corredo delle inevitabili osservazioni a latere? Uno positivo: “le linee di business ora detengono una fetta importante del budget aziendale (47% contro il 51% dell’It) – osserva Patano”, ciò comporterebbe un dialogo maggiore tra le diverse espressioni di una azienda, finalizzato a una collaborazione e non a un mantenimento di rendite di posizione che Patano chiama più elegantemente silos.

Ancora, a proposito di silos, fondamentale buttare giù il muro tra la piattaforma legacy che gestisce le attività B2B e B2E e la piattaforma digitale che si rivolge al cliente. “Generalmente quest’ultima è più evoluta – afferma Patano -, in una azienda che decide di affrontare la trasformazione digitale, che ambisce a diventare distruptive, è necessario mettere in comunicazione le due aree, per esempio attraverso il cloud ibrido”.

Ma, a che punto siamo veramente con la digital transformation? E qui arrivano le note dolenti, peraltro prevedibili. Appena un 8% di aziende negli Usa e un 6% di aziende europee si può considerare realmente distruptive. La maggioranza, sia nel Nuovo che nel Vecchio Continente, è ancora in quella via di mezzo tra il “vorrei ma non posso” o non riesco che spesso è solo un alibi.

E l’Italia? La stragrande maggioranza delle aziende si posiziona in uno stato conservativo fedele alla tipica affermazione dell’azienda padronale: ho sempre fatto così, perché devo cambiare.

Da Idc l’esperienza Ducati

Eppure c’è una luce in fondo al tunnel, dettata anche da un rigenerante cambio generazionale. Le aziende cercano, ebbene sì anche in Italia, nuove figure professionali, i leader di cui sopra, che si chiamano Head of Innovation o Head of Digital. E, sorpresa delle sorprese, Idc chiama sul palco un rappresentante della categoria, che non fa parte di una multinazionale che potrebbe avere una visione più ampia proprio per quello ma lavora per l’italianissima Ducati.

Piergiorgio Grossi, Chief Information & Digital Tranformation Office di Ducati conferma la nostra impressione, infatti parla solo di persone e poco di architetture. “Durante la mia giornata (è in Ducati da 4 mesi dopo anni importanti in Ferrari F1, ndr) – spiega Grossi – cucio, faccio dialogare le persone, abbatto i silos. Poi alleno la squadra, la faccio andare in trasferta per capire e imparare dal proprio network personale perché e come si fanno certe cose, la faccio scappare dalla ruota del criceto. Faccio, infine, il capo dell’help desk, assorbo e analizzo i malfunzionamenti dell’It perché troppo spesso i processi e gli strumenti interni sono meno funzionali di ciò che si fa vedere all’esterno”.

In estrema sintesi, la digital transformation passa innanzitutto dalle persone: “come si può credere che un’azienda trasferisca all’esterno un messaggio positivo se gli stessi dipendenti non ci credono – osserva Grossi”. Già, lavorare sulle persone pare non solo lapalissiano ma necessario e, diremo di più, non è un investimento in denaro e ha un Roi molto più immediato, niente scuse allora.

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