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Ict nella Pubblica amministrazione: il rapporto della Commissione d’inchiesta

L’anno di attività della Commissione di inchiesta si è rivelato estremamente positivo. Sono state rilevate non solo criticità, ma anche alcune buone pratiche, sinonimo che una digitalizzazione efficiente può portare a una reale trasformazione della Pubblica amministrazione”.

Così parla Paolo Coppola (Pd), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione della Pa e della spesa Ict. Il giudizio positivo però si deve fermare ai lavori della Commissione perché, per quanto riguarda il rapporto tra Ict e Pa c’è molto da dire.

La relazione finale sull’ICT nella Pubblica amministrazione

Pubblica amministrazione
La Camera dei deputati

Basta partire dalla relazione finale di Enza Bruno Bossio (Pd), che arriva a qualche giorno di distanza dall’intervento di Diego Piacentini, dove si racconta che “L’aspetto più evidente emerso è probabilmente la  scarsa conoscenza e applicazione della normativa relativa al digitale, con particolare riferimento al D.Lgs. n. 82/2005 (Cad), che mina i principi di legalità, buon andamento e responsabilità in quanto vengono costantemente violati i diritti di cittadinanza digitale senza apparente contestazione alcuna. Le pubbliche amministrazioni, nella grande maggioranza dei casi, approcciano il tema del digitale in modo episodico e non organico”.  I processi di digitalizzazione sono quasi sempre “iniziati” e mai “conclusi”, prosegue, e i diritti digitali dei cittadini e delle imprese sono rispettati di rado e solo per alcuni servizi, mancano pianificazione e stanziamenti specifici per completare lo switch off. “Esiste una chiara e diffusa conoscenza dei progetti strategici portati avanti dal Governo, ma anche l’adesione alle infrastrutture  immateriali previste dal piano triennale, come Spid (Sistema pubblico d’identità digitale) o PagoPa (la piattaforma dei pagamenti elettronici per la Pa) sembra essere il più delle volte un atto compiuto con la logica dell’adempimento simbolico piuttosto che un deciso cambio di paradigma”.

Mancano le competenze

Dalle audizioni è emersa la mancanza di competeze interne e che non si può desumere che la spesa Ict sia eccessiva, ma sicuramente emerge una scarsa capacità di controllo della qualità della spesa, soprattutto per quanto riguarda i  sistemi informativi e l’impatto che dovrebbero produrre, sia in termini di risparmi, sia in termini di miglioramento della qualità dei servizi, che non viene quasi mai misurato. La mancanza di skill impedisce alla Pa di contrattare adeguatamente con i fornitori, progettare correttamente le soluzioni necessarie, scrivere bandi di gara che selezionino il prodotto o il  servizio più adeguato e aperto a nuove implementazioni e, infine, di controllare efficacemente lo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni informatiche. Si portano avanti i progetti, spesso con ritardi inaccettabili, ma anche quando sono conclusi sembra che non abbiano portato nessun miglioramento sostanziale e si passa quindi al progetto successivo, in un circolo vizioso.

I ritardi dell’Anpr

Il progetto Anpr (Anagrafe nazionale della popolazione residente) ha sofferto di problemi di scarse competenze tecnologiche lato Ministero dell’Interno e manageriali lato sia ministero sia Sogei. E poi ci sono stati i ritardi dei decreti attuativi, errori nella perimetrazione dettata dalla legge, scarso coinvolgimento degli stakeholder nella fase di progetto e realizzazione. “Per prima cosa, è opportuno sottolineare come risulti urgente e non più procrastinabile un adeguamento delle competenze del personale (non solo) dirigenziale della PA, sia attraverso un massiccio investimento in formazione, sia attraverso una ineludibile immissione di nuovo personale, soprattutto nei livelli apicali. Il tentativo di istituire la figura di Chief Digital Officer “a costo zero” è chiaramente fallito”. Intanto sono 32mila i dipendenti pubblici che lavorano nel campo dell’Ict, ai quali si aggiungono altri 10mila dipendenti delle società in house centrali e locali. Il piano stima anche l’esistenza di circa 11 mila data center delle Pa, 25 mila siti web e circa 160 mila basi dati, sui quali si appoggiano oltre 200 mila applicazioni. Un mondo un po’ tropppo frammentato.

La relazione dice anche che la spesa per l’informatizzazione della Pa è di 5,7 miliardi ma si tratta di una stima perché complessità e frammentazione impediscono un calcolo esatto. In più solo il 24% passa per Consip. L’Anac ha poi individuato 3.166 gare con errori materiali, ma anche molte altre lasciano dubbi. 3583 gare sono state messe al bando e aggiudicate lo stesso giorno. E altre 302 hanno curiosamente una data di aggiudicazione precedente a quella di messa a bando. 109 sono state aggiudicate con un rialzo del prezzo anche di un milione di euro, mentre di solito si offre un ribasso. E per quattro gare l’importo è superiore di un miliardo di euro. Poi ci sono molte altre gare con ribasso nullo e l’85% delle gare con un solo partecipante. Ci sono poi le gare con un solo partecipante. Dall’analisi emerge, ad esempio, che Telecom ha partecipato da sola a 996 gare, seguita da Engineering (547 gare) Oracle (452) fino a Fastweb (293) e Ibm (240). “Le Pa – si legge nel testo – utilizzano per lo più tipologie di aggiudicazione che non prevedono la concorrenza”. Le tre maggiori tipologie di scelta riguardano l’affidfamento diretto in adesione ad accordo quadro/convenzione (32% della spesa aggiudicata totale), procedura aperta (16%) e procedura negoziata senza previa pubblicazione (16%). In base agli importi aggiudicati Telecom Italia è il principale fornitore della Pubblica amministrazione seguita da Bt Italia, Wind, Edil Luca (una gara), Tiscali, Fastweb, Ibm, Accenture, Sap.

 

 

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