Ibm x86, i server ormai sono una scelta software

L’hardware da solo conta poco se non è preintegrato con l’ecosistema informativo. La logica della funzione che si innesta nell’architrave tecnologica sta diventando dominante.

L’It di oggi è percorsa da un’ondata taylorista evoluta, in base alla quale la cifra tecnologica in sé non ha valore se non la si declina nel contesto. Il fenomeno delle app è una evidenza estrema di questo funzionalismo.

Portando l’osservazione nel terreno dei server si può dire che i processori e le architetture che li animano sono uguali per tutti, quello che conta è saper costruirci soluzioni dentro e attorno.

Non si deve parlare più di singole macchine, quindi, come accadeva dieci anni fa, ma di soluzioni pratiche.
O di workload, se si vuole.

Ibm annuncia cinque building block della propria offerta SystemX, quella legata all’evoluzione della tecnologia Intel, che ha appena proceduto al rinnovo del proprio parco processori rilasciando gli Xeon E5.

Al secolo, i pilastri tecnologici si chiamano SystemX 3650 M4, SystemX 3550 M4, SystemX 3500 M4, iDataplex Dx360 M4 e il BladeCenter Hs23.

Come ha spiegato Alessandro De Bartolo, manager della SystemX Business Unit, il mercato tradizionalmente interso, quello in cui l’azienda sceglie i server sulla base di esigenze consolidate, va avanti. Ma affianco sta emergendo uno scenario fatto da cloud e da appliance, ossia da soluzioni preintegrate e facilitate.

Tempi, costi e finalità d’uso entrano, quindi, direttamente nel campo visivo della scelta dell’utente.

È per questo che nel rilasciare i nuovi sistemi Ibm pone l’accento su cosa è differenziante per l’azienda utente, e questo è la soluzione software.

Non si parla, quindi, tanto di capacità di processore, anche se è importante, ma di servizi come SmartCloud, un software che si abbina ai sistemi x86 per la gestione delle macchine virtuali, per fare cloud privato plug and play. O di FastSetup, un componente che automatizza i task. O, ancora, di software che potenzia i workload dei database.

Poi c’è la componente di rete. E allora al momento del rilascio di nuovi server ha senso parlare di 10 Gbe virtual fabric integrato, perché tutto oramai è virtualizzato e servono sistemi capaci di creare switch virtuali.

Le soluzioni preintegrate che Ibm ha creato per la gestione dei workload che ruotano attorno ai sistemi M4 vanno dal virtual desktop a Sap, dagli analytics allo storage su Windows, da Sql a vSphere, dall virtualizzazione server a quella del client.

Il sistema Hs23 non sfugge a questa logica funzionalista, e con BladeCenter foundation for cloud viene preconfigurato per funzionare come piattaforma virtualizzata completa e certificata. Lo si fa sulla base del dimensionamento.
Quanti server virtuali serve avere? 100, 200, 500? Il blade nasce già pronto: all’azienda spetta solo riempirla delle sue macchine virtuali.

Per inciso va detto che qui l’evoluzione tecnologica Ibm ha fatto la sua parte: rispetto ai precedenti sistemi Hs21 gli Hs23 propongono ottimizzazione delle lame: da 189 si passa a 14.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome