Ibm muove i Business Partner verso il cognitive computing

Il cognitive computing entra a pieno titolo nella sfera di attività dei Business Partner Ibm.
È questo, in sintesi estrema, il messaggio emerso pochi giorni fa in occasione della Business Partner Leadership Conference, incontro annuale con la comunità dei partner italiani e sottolineato, fin dalle prime battute del mattino da Enrico Cereda, amministratore delegato di Ibm Italia: “Viviamo in un tempo in cui la velocità di esecuzione è importante e determinante – ha dichiarato infatti -.  Velocità significa trasformazione, significa capire che il mercato di domani non sarà quello di oggi. Significa essere preparati al fatto che aumenta il numero dei competitor sul mercato, soprattutto nei settori non tradizionali”.
Vi sono  player che passano da un settore all’altro, anche grazie a barriere all’ingresso sempre più basse e i nuovi player vincono coniugando tecnologia,  innovatività, creatività.
È comunque un mercato di opportunità “nel quale non possiamo sbagliare nemmeno un piccolo passo”, sostiene ancora Cereda, il quale elenca le tre priorità per l’azienda nei prossimi mesi.
In primo luogo ingloberemo in tutte le nostre soluzioni software l’aspetto cognitivo; in secondo luogo continueremo a spingere sul cloud, a maggior ragione dopo l’apertura del datacenter cloud nell’area di Milano; infine lavoreremo per portare cognitive e cloud verso l’industria”.

Sull’urgenza del cambiamento insiste anche Marc Dupaquier, General Manager Global Business Partners della società Ibm, il quale ironizza, ma non troppo: “Difficile capire quello che succede mentre ci si sta muovendo”, sostiene, proseguendo poi: “Quando si parla di trasformazione digitale, si cita sempre l’esempio Airbnb e sul suo impatto nel mondo dell’hospitality. In realtà il riflesso è molto più ampio e va a toccare tutto il mondo immobiliare. A Parigi, ad esempio, oggi il 90 per cento degli appartamenti che si trovano nell’Ile de la Citè sono posseduti non da chi ci vive, ma da chi li affitta”.
In sintesi?
Ogni processo che esiste può essere distrutto e ripensato. “E ogni industria si ridefinisce digitalmente nei punti di controllo e nelle competenze”.
Competenze indispensabili per Dupaquier, più che mai convinto che sia “definitivamente finito il tempo in cui il computing era “industry agnostic”, come ben spiega in questo contributo video.

 

Senza partner non si può

I partner, va da sé, sono gli abilitatori di questo cambiamento nel quale ogni processo di business viene ridisegnato e ridefinito.
Ed è Edgarda Fenga, da poco nel ruolo di Director Global Business Partners in Ibm Italia a enfatizzare i termini della sfida: “Bisogna prepararsi a contrastare gli invasori digitali, affrontare i mercati in una prospettiva digitale e soprattutto decidere di essere i migliori. Oppure non esserci affatto”.
Il percorso non è semplice e di questo Fenga è consapevole.
lei li chiama i “torch bearer”, coloro che portano la fiaccola: sono le aziende più attente a capire se arrivano gli invasori digitali. “Non mi riferisco solo alle aziende nuove: ci sono anche realtà tradizionali capaci di cogliere il cambiamento, riadattando la loro azienda in funzione di quel che sta succedendo”.
Sono aziende capaci di decidere se entrare in nuovi mercati, in grado di decentralizzare le loro decisioni: “Non hanno come punto strategico l’investimento sul cloud o sul mobile, perché lo hanno già fatto. Stanno già pensando al cognitive, con investimenti più alti, che ripagheranno di più in futuro”.
Per questo, secondo Fenga, è indispensabile saper attivare più osservatori, delegando chi sta vicino al cliente e conosce il mercato ad avvisare in merito a ciò che accade; l’azienda deve diventare un laboratorio continuo: “Dovete coltivare le vostre  capacità cognitive, usandole voi per primi. Dovete formare la vostra squadra del futuro, assumendo una visione ecocentrica del mondo, lavorando in ecosistemi, esplorando territori sconosciuti, ampliando il vostro raggio d’azione, creando e catturando il momento”, è la sua esortazione.
Secondo Fenga, è indispensabile che nel momento in cui devono investire, i partner investano nelle tecnologie emergenti a maggiore rischio, scalando verso aree adiacenti, con un ritorno investimento più alto.
“L’imperativo è la trasformazione”, conclude.

Cosa fa Ibm?

Ma cosa fa Ibm per aiutare il percorso di trasformazione?
Molteplici le iniziative, confermate o annunciate nel corso della giornata da Dupaquier e Fenga.
Del resto la necessità è chiara: da un lato potenziare e aiutare i business partner esistenti, dall’altro aprire alla collaborazione con nuove realtà, in un’ottica di alleanze e di sinergie.
Si parla dunque di workshop dedicati alla business transformation o al digital maketing, di open days dedicati agli analytics, di programmi per la misurazione della customer satisfaction, di un nuovo blog, di una App dedicata ai partner.
Soprattutto, nelle scorse settimane è stato rinnovato il programma Ibm PartnerWorld, con un focus molto specifico sul SaaS.
Spiega Dupaquier: “Vogliamo dare ai nostri partner la possibilità di capitalizzare le loro azioni in ambito SaaS. Per questo, garantiamo il riconoscimento economico per tutta la durata del contratto stipulato con i clienti. Questo con l’obiettivo di portare verso il modello SaaS un numero crescente di clienti e partner”.
Il principio è semplice.
A partire dal mese di aprile, nel momento in cui un Business Partner sigla un contratto SaaS, attiva quello che Dupaquier definisce un “revenue strain”, un flusso di cassa, che prosegue  fino a quando il cliente è attivo. “Là dove gli altri pagano una forma di commissione, noi attiviamo un flusso, in un’ottica di perpetuity”.
Non solo.
Il riconoscimento è in forma incrementale: di conseguenza, se il cliente aumenta il suo impegno in cloud, per il partner il riconoscimento è maggiore.
Una seconda iniziativa è l’Embedded Software Agreement, che guarda ai cloud service provider che seguono i bisogni specifici dell’industria.
Una volta li consideriamo clienti. Oggi per noi sono partner, che embeddano i servizi Ibm nelle loro piattaforme e sviluppano piani di business insieme a noi”.
Nuovi strumenti di ingaggio guarderanno anche agli sviluppatori (un entrepreneur program), alle realtà che nascono cloud e digitali, ai consulenti.
Investiamo sui portatori di fiaccola”, conclude Fenga. “Tutti, però devono intraprendere un percorso di trasformazione rivedendo i loro modelli di business in un’ottica di flessibilità. Ce la faranno tutti? Non credo. Ma tutti devono per lo meno provarci”.

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