I professionisti dell’It chiudono il 2002 con qualche apprensione

La stagnazione dei progetti informatici da parte delle imprese, dovuta anche a un generale rallentamento dell’economia europea, rende oggi incerta sul futuro una classe di lavoratori che fino a ieri era super ricercata.

 


La precaria situazione occupazionale è certamente uno degli argomenti più attuali e scottanti, sia perché coinvolge tutto il mondo del lavoro, sia perché, in questo momento, desta non poche preoccupazioni anche nel nostro settore. Finora l’informatica ha retto abbastanza bene l’urto di una crisi più lunga e più grave del previsto: il calo dei posti di lavoro c’è stato, ma, rispetto ad altri settori, è risultato ancora tollerabile. Di questa congiuntura negativa ovviamente ne parlano un po’ tutti, ma che cosa pensa veramente la gente che lavora? A chi, come noi, svolge la propria attività in ambienti molto eterogenei, capita sovente di scambiare opinioni e sensazioni con chi lavora nelle diverse aziende. Anzi, molto spesso sono proprio i nostri interlocutori a sollecitare uno scambio di informazioni, per sapere che “aria tira fuori” e quali sono le voci che circolano nell’ambiente. Due sono, infatti, le maggiori preoccupazioni degli informatici: la paura che l’onda lunga delle difficoltà economiche, in cui si dibattono alcuni fra i più importanti gruppi italiani, colpisca pesantemente non solo le tute blu e i colletti bianchi, ma anche le strutture informatiche e, come secondo punto, la scarsa propensione da parte delle aziende a investire in progetti informatici degni di questo nome.


Né questa volta ci possono venire in aiuto le altre economie occidentali, tutte più o meno ferme al palo, in attesa di una ripresa sempre prevista, ma poi puntualmente rimandata e ripianificata. Nessun Paese europeo è oggi in grado di assumersi il ruolo di “locomotiva economica” e trainare una nuova congiuntura al rialzo: ciascuno ha i suoi problemi interni da risolvere, per cui non ha né tempo né risorse da dedicare agli altri. Più che di una politica autarchica si tratta di una scelta imposta da economie, che fanno molta fatica a riprendersi, perché hanno sottovalutato sia la durata sia la consistenza di una crisi, che alla fine ha trovato tutti abbastanza impreparati e soprattutto privi di strumenti, oltre che di idee capaci di contrastare questa tendenza negativa.


Sicuramente i problemi e le tensioni internazionali hanno aggravato la situazione: terrorismo, venti di guerra, conflitti religiosi (o presunti tali) non aiutano certo a uscire da questa crisi, anche perché gli investitori non amano le tensioni, ma la stabilità. Semmai sono gli speculatori ad approfittare di queste incertezze e delle conseguenti paure per arricchirsi e mantenere lo status quo.


Da oltre un anno, novità nel vero senso della parola non ne sono state annunciate e sul mercato prodotti veramente nuovi non ne sono stati immessi. Niente di “rivoluzionario”, niente di “innovativo”, niente che abbia saputo dare una vera spinta o fungere da volano per una concreta inversione di tendenza. Finito il boom del 2000 e dell’euro, si vivacchia di manutenzione, più o meno mascherata da progetti e progettini, ma pur sempre manutenzione resta. Qualche cosina in più si muove in direzione Internet, inteso nel senso più vasto della parola, ma è un po’ poco per tranquillizzare le preoccupazioni degli informatici.


In termini lavorativi questo si traduce in tre conclusioni, non certo incoraggianti: cose nuove niente, quindi nuove professioni zero; evoluzioni qualitative poche, quindi crescita professionale limitata; crisi economica persistente, quindi speranze di carriera ridotte al lumicino e attenzioni rivolte più verso la conservazione del posto di lavoro, che non verso uno sviluppo aziendale.

Investimenti contenuti


Le grandi aziende di It sono ancora ben lontane da quei risultati brillanti, che avevano fatto del mercato tecnologico uno dei più ricchi business degli ultimi anni e stanno ancora scontando un assestamento dell’intero settore, avvenuto attraverso fusioni, acquisizioni e ristrutturazioni, che hanno trasformato questo periodo in una selezione naturale. In generale, si lotta più per sopravvivere che non per crescere: questa è l’opinione più diffusa fra gli informatici, preoccupati perché, per il nostro settore fermarsi significa ridurre al minimo le possibilità di sviluppo e quindi di crescita professionale, sia quantitativa che qualitativa.


Inoltre, questo atteggiamento, teso più a difendere lo status quo che ad aggredire il mercato, si ripercuote negativamente anche sulle aziende utenti, già di per se stesse poco sensibili agli investimenti non assolutamente indispensabili. Infatti, dopo le consistenti spese per anno 2000 ed euro e di fronte a una oggettiva penuria di risorse economiche, ben difficilmente le società decidono di investire in progetti informatici, se non sollecitate da qualcosa di nuovo e di interessante. Ci sono altri settori, molto più critici o molto più strategici in termini di recupero degli investimenti, in cui immettere risorse sia umane che economiche, per cui, in questo momento, nell’informatica si tende a spendere soltanto quanto è necessario.


Ovviamente questo riduce ulteriormente la potenzialità del mercato occupazionale, sia diretto (dipendenti) che indiretto (collaboratori e consulenti), perché, come tutte le attività legate ai servizi, se l’utente non aumenta le proprie richieste, il lavoro si riduce a normale manutenzione.


E concludiamo con uno sguardo al futuro. L’orizzonte è forse meno cupo, ma non certo roseo: l’opinione più diffusa è quella che, se le cose dovessero andare proprio bene, qualche segno di ripresa dovrebbe esserci verso la fine del prossimo anno, mentre, se le cose dovessero andare male, meglio “resistere” sulla difensiva. L’impressione è quella che si vive alla giornata, con poca serenità e con molta attenzione anche ai più piccoli sintomi positivi, ma soprattutto a quelli negativi. In effetti le conseguenze in termini occupazionali sono lo scarso turnover (non si lascia un posto sicuro, se non per uno ancora più sicuro) e la poca propensione a intraprendere nuove iniziative, quindi a creare nuovi posti di lavoro. La sicurezza, infatti, è balzata al primo posto fra le motivazioni occupazionali, scavalcando di gran lunga l’aspetto economico: segno evidente della preoccupazione che frena il volano principale del mercato del lavoro, basato sulla volontà di crescere e migliorare la propria posizione, anche a prezzo di qualche rischio. Dunque, fiducia nel futuro, ma con cautela: la sicurezza, che bastava occuparsi d’It per essere al riparo da qualsiasi crisi, ha lasciato il posto a una presa di coscienza che questa “fortuna” bisogna non solo conquistarsela, ma conservarsela per il futuro.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome