I datawarehouse italiani sono vecchi

La Business intelligence è vista come essenziale, ma non la si usa per misurare la concorrenza. Si avverte l’esigenza di un datawarehouse architect.

Axiante ha inteso sondare come le direzioni Ict delle aziende italiane inquadrano la Business intelligence. Lo ha fatto intervistando 150 Cio di aziende di medio-grandi dimensioni (con fatturato superiore ai 300 milioni di euro) o filiali italiane di realtà multinazionali, tutte operanti nei settori industria, distribuzione e servizi. Ha agito con il supporto di una società di analisi e ricerche per il contatto con i destinatari del questionario.

Ne è emerso un quadro in cui la Business intelligence è senza dubbio una necessità, ossia la si può trovare nella lista delle azioni per l’anno in corso, benché, come osserva il president di Axiante, Romeo Scaccabarozzi, parlare di pianificazione a lungo termine (un anno), oramai non ha più senso.

Con gli intervistati Axiante ha cercato di capire come la Bi è percepita in senso pratico, ossia, abbinata ad azioni inerenti le linee che eseguono il controllo di gestione, provvedono alle vendite, fanno marketing. Ha voluto capire come il Cio vede concretamente i processi di business e interiorizza le funzioni connesse.

Il fatto che i Cio abbiano risposto che al 90% il reporting finanziario nelle loro aziende è effettuato con strumenti It evoluti (ossia senza più far ricorso al burocratico book mensile cartaceo) e che il 42% di loro intende migliorarlo in termini di tempestività e dettagli è una nota di conforto. In pratica, per quanto riguarda il controllo di gestione non si torna indietro sulla strada della Bi.

Riguardo la pianificazione delle vendite oramai l’80% la rivede in corso d’anno. Ecco perché è fuori contesto un piano decisionale di lungo periodo. Suggerisce Scaccabarozzi che «la rivisitazione periodica degli obietivi è stata formalizzata».

Flessibilità e pragmatismo caratterizzano la funzione commerciale e il Cio lo sa: il 14% delle aziende rivede i budget-obiettivi ogni mese, il 36% trimestralmente e il 30% ogni sei mesi. Solo un’azienda su cinque non fa revisioni in corso d’anno. E quattro revisioni su cinque dei forecast avvegono con strumenti evoluti, con ciò intendendo non con fogli di calcolo ma con sistemi di reporting.

La sopresa viene dalla funzione marketing: in Italia di fatto non si misura la concorrenza. «Due aziende su tre non fanno, o non sanno se lo fanno, benchmark con i competitor. Solo una su due verifica almeno una volta l’anno la soddisfazione dei propri clienti», troppo poco per Scaccabarozzi. Il che significa due cose: che la Bi esistente in azienda non è giustamente indirizzata o non è adeguata.

Entrando nel perimetro di azione del Cio si scoprono dei dettagli interessanti. Innanzitutto per l’84% di loro la Bi sarà importante nei prossimi 18 mesi. Ma se si va a censire l’età del data warehouse si scopre che in 7 realtà su 10 risale a oltre tre anni, e di questi nel 45% dei casi supera i 4 anni. Il che significa che è vecchio. Dato che il progetto per un Dw richiede un anno o più, la maggior parte di quelli esistenti è stato ideato per rispondere a necessità del 2003/2004. E appare evidente che non siano quelle attuali.

Deduzione evidentemente condivisa dai Cio, dato che il 53% di loro intende migliorarlo nel corso dell’anno, con azioni sui dettagli, qualità e velocità di lavorazione dati.

Missione non impossibile per Scaccabarozzi, sia sotto il profilo economico, sia sul piano operativo. Il costo per Terabyte delle infrastrutture è notevolmente inferiore rispetto a qualche anno fa, pertanto si può lavorare sulla potenza. E poi si può fare una concreta revisione del Dw in un semestre.

Per farlo, osserva, servono però progettisti capaci e Axiante ne sta arruolando: «stiamo valorizzando la figura del datawarehouse architect, che è centrale per questi progetti». In Italia al momento pare ce ne siano pochi. La società di Scaccabarozzi li arruola e li forma per dar seguito alle indicazioni giunte dalla ricerca.

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