High tech e Pmi per il Private equity italiano

Cifre record per Pe e venture capital. In ripresa gli investimenti in aziende tecnologiche

Per il private equity la tecnologia non è più tabù. Dopo le scoppole prese nel periodo post bolla, anche in Italia tornano a crescere gli investimenti dei capitali di rischio nelle nuove imprese tecnologiche.


Secondo il rapporto annuale Aifi-Pwc (Associazione italiana del private equiti e venture capital e PricewaterhouseCoopers) quest’anno Pe e Vc privati hanno realizzato un numero di operazioni early stage (la prima fase di vita delle aziende che spesso operano in settori tecnologici) che ha eguagliato quello degli operatori di emanazione pubblica e regionale, tradizionalmente le categorie di investitori più attive in questo segmento di mercato, come ha osservato Giampio Bracchi, presidente Aifi.


I finanziamenti di seed o early stage ammontano a 66 milioni di euro contro i 28 dello scorso anno per 88 operazioni contro le 62 del 2006. Ma il totale, comprendendo anche incubatori e parchi tecnologici arriva a 420 operazioni.


Il 25% degli 88 investimenti è andato all’area definita genericamente come computer, il 16% al biotech e il 10% al medicale. L’investimento medio è stato di 0,7 milioni di euro per aziende con un numero medio di sei dipendenti e un fatturato medio di 0,3 milioni di euro. La tipologia dell’investitore è divisa a metà fra pubblico e privato.


I risultati dell’early stage si inseriscono in un quadro positivo per il private equity tricolore che nel 2007 ha registrato risultati record anche se il distacco dalla Francia (12,6 mliardi di euro nel 2007) è ancora molto ampio.


Il numero di operazioni, per la prima volta dal 2003, ha superato quota trecento e le risorse investite sono superiori ai quattro miliardi di euro, in crescita del 12,5% rispetto allo scorso anno. 2,6 miliardi di disinvestimenti (+49,3%), e tre miliardi di risorse raccolte (+33,1%) sono le cifre che completano il quadro di un settore che oltre alle 88 operazioni nell’early stage ne ha realizzati 113 nell’expansion (investimento nelle fasi di sviluppo dell’impresa), 14 nel replacement (finalizzato alla ristrutturazione della base azionaria) e 87 nel buy out (finalizzato al sostegno dell’acquisizione dell’impresa). Inoltre, come sottolinea Mara Caverni, responsabile private equità in Pwc “nei primi mesi del 2008 sono già stati registrati closing di operazioni anche significative e sono in atto processi di vendita che rendono interessanti le attese per il 2008”.


Circa l’80% si è concentrato sulle Pmi con un numero di dipendenti inferiore alle 250 unità. A dispetto di chi sostiene che gli stranieri sono restii a investire in Italia, il 57% dei capitali viene dall’estero e il 43% dall’Italia dove si segnala una maggiore presenza di assicurazioni e fondazioni.


Mentre per i dati sulla performance (l’anno scorso al 14%) bisogna aspettare la pubblicazione di un ricerca all’assemblea generale dell’Aifi in maggio, l’altro dato positivo, ha ricordato il direttore generale di Aifi Anna Gervasoni, arriva dalla crescita del numero di operazioni nel Sud Italia. Si tratta soprattutto di iniziative in fase di start up che hanno un’incidenza del 6,7% sul totale rispetto al 4,8% dello scorso anno. L’incidenza sugli investimenti passa invece dal 2,4% al 2,8%.


In crescita è anche il periodo di permanenza in azienda del Pe che, lontano da un intervento “mordi e fuggi”, in azienda ci sta mediamente 4 anni e un mese. Record anche per i disinvestimenti (+49%) che per il 51% sono trade sale (vendita a partner industriali), il 17% vendita ad altri investitori, il 28% Ipo e post Ipo (collocamento in Borsa) e per il 4% write off, le partecipazioni cancellate perché fallite.
Il private equity è sempre più a ttento a dove mette i soldi.

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