Google e i dati liberati

A Mountain View nasce il Data Liberation Front. Sei ingegneri e una missione: non fare prigionieri.

Cosa succede se, per un qualsivoglia motivo, il feeling tra Google e i suoi utenti improvvisamente si rompe? Cosa succede se, per una qualsiasi causa, l’utente non desidera più utilizzare i servizi di Google?
In teoria, soprattutto laddove parliamo della parte “free” della proposition Google, nulla: semplicemente l’utente cessa di essere tale.
C’è però un corollario a questo semplice assioma della libertà di scelta e di utilizzo. Che ne è dei dati, dei documenti, delle immagini, creati all’interno dei servizi Google?

La questione è meno banale di quel che potrebbe sembrare in prima battuta, se è vero, come è vero, che a MountainView hanno persin creato un gruppo di lavoro focalizzato sulla faccenda.

Si chiama Data Liberation Front Project e lo guida Brian Fitzpatrick, engineering manager con formazione culturale classica (latino, greco, belle arti e ceramica) e background lavorativo di tutto rispetto, sia all’interno di Google sia all’interno delle community open source, Apache Software Foundation e Open Web Foundation su tutte.
Gli utenti dovrebbero poter controllare i dati che salvano su tutti i prodotti Google. E il nostro obiettivo è quello di facilitar loro anche la fase di rimozione e trasferimento dei dati ad altri servizi“, è la dichiarazione di intenti di Fiztpatrick, che parla di apertura del Web, di contributo all’open source, di codici, di Chrome e di Chromium.

Non vogliamo in alcun modo che i nostri utenti si sentano prigionieri“, prosegue Fitzpatrick, che ne fa una questione di rapporto di fiducia tra chi offre il servizio e chi ne fruisce.

Per questo, Fitzpatrick suggerisce tre domande che ognuno dovrebbe porsi prima di scegliere i portare i propri dati verso in un certo servizio.
Posso riprendermeli? Se sì, quanto mi costa? E soprattutto, in quanto tempo riuscirò a riaverli?”.
Nessun dubbio sulle risposte: se il sì è dato per scontato alla prima, la seconda richiede un “nulla” perentorio e la terza “nel minor tempo possibile“.

Che poi, in sostanza, è quanto il Data Liberation Front promette.
Concretamente, Google si impegna a supportare i formati aperti, garantendo facili menu di esportazione per i dati raccolti in uno qualunque dei suoi servizi, che si tratti di Analytics, di Docs, di Finance o GMail. E la tabella in calce a questo articolo dovrebbe dare un’idea abbastanza precisa dell’orientamento della società.

Non lo facciamo perchè siamo buoni“, sostiene a scanso di possibili equivoci il manager, “ma perché alla lunga ripaga. Il supporto all’open source porta benefici a nostri utenti, ma anche a noi stessi“.

Resta poi il tempo per una stoccata finale e il fatto che sembri non troppo casualmente indirizzata a Apple è forse solo la sensazione di chi scrive: “Vorremmo che gli utenti riflettessero alla liberazione dei dati non solo quando si tratta di Google, ma rispetto a qualsiasi prodotto o servizio scelgono di acquistare e utilizzare“.




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