Gli investimenti finanziari sono sempre più responsabili

In Europa quasi 5.000 miliardi di euro sono investiti nel rispetto di criteri di responsabilità sociale o ambientale

La finanza è spesso vista nell’immaginario collettivo come un mondo popolato da società e individui senza scrupoli, dediti unicamente alla logica del profitto e le ultime vicende che hanno portato alla recessione economica mondiale non hanno fatto altro che rafforzare questa convinzione. Quasi tutti ignorano che in realtà dietro un terzo degli investimenti finanziari c’è un qualche criterio di responsabilità sociale.

Valutazione a 360 gradi
È quanto sottolinea la quarta edizione dello studio di Eurosif (European sustainable investment forum) che ha fatto il punto sullo stato del mercato degli investimenti sostenibili e responsabili, definiti tecnicamente Sri (Sustainable and Responsible Investment): si tratta di un termine generico che comprende qualsiasi tipo di investimento che combina gli obiettivi prettamente finanziari con le preoccupazioni per l’ambiente, i problemi sociali e di governance. Ad esempio gli investitori possono scegliere di escludere dal proprio portafoglio di investimenti determinate società a causa del loro impatto sull’ambiente o per altri aspetti negativi (come nel caso di imprese impegnate nel business delle armi o del tabacco). Nella definizione sono ricompresi anche gli screening positivi in favore delle aziende Best-in-Class o di particolari approcci tematici (ambiente, micro finanza, ecc). Come ha spiegato Franca Perin di Generali Investment France, «Sri oggi ha superato l’approccio moralista della contrapposizione bene/male. Si tratta piuttosto di valutare i rischi legati alle imprese a 360 gradi, prendendo in considerazione anche gli aspetti sociali e ambientali, che spesso la comunità finanziaria tende a trascurare».

Un settore dominato dai Fondi pensione
Secondo il rapporto, dalla fine del 2007 alla fine del 2009 l’ammontare complessivo del patrimonio in Europa (asset under management) definibile come Sri è passato da 2.700 miliardi di euro a quasi 5.000 miliardi (per l’appunto circa 1/3 del totale europeo), con una crescita dell’87% su base biennale. La recente crisi finanziaria e il verificarsi di disastri dovuti a gravi inadempienze nella gestione della sostenibilità d’impresa hanno agito da stimolo per molti investitori, rendendoli maggiormente consapevoli della necessità di integrare gli aspetti ambientali, sociali e di governance nelle scelte d’investimento. Ma chi investe nel Sri? Si tratta quasi esclusivamente degli investitori istituzionali, che dominano (92%) il mercato europeo degli investimenti sostenibili. In particolare gli attori principali sono i fondi pensione pubblici e privati che, sulla spinta delle scelte degli istituti di Francia e Norvegia, hanno ormai integrato le pratiche Sri nelle loro strategie finanziarie. La quota degli investitori retail è cresciuta nel tempo in quasi tutti i Paesi, con l’Austria, il Belgio, la Francia e la Germania in prima fila, ma rimane comunque limitata all’8%.

Il mercato italiano
Un discorso a parte merita il mercato italiano, cresciuto nel biennio del 28%, passando dai 243 miliardi della fine del 2007 ai 312 miliardi della fine del 2009. Ma i numeri non devono trarre in inganno: il mercato italiano Sri è in pratica in mano a un solo operatore, Assicurazioni Generali, che ha deciso di investire tutti i beni gestiti da società del Gruppo (299 milioni di euro al 31/12/2009) secondo le linee guida etiche adottate dal Government Pension Fund norvegese. Il resto degli attori nazionali ha dunque un ruolo assolutamente marginale e si spartisce le briciole (circa 13 milioni di euro). «La situazione in Italia appare ancora insoddisfacente dal nostro punto di vista – ha dichiarato Maria Paola Marchello, curatrice della sezione italiana della ricerca – Sia nel segmento retail che in quello istituzionale vediamo delle opportunità non sfruttate adeguatamente dagli operatori». Un mix di norme e maggiore trasparenza dei mercati potrebbe favorire l’adozione delle pratiche Sri, anche perché, come ha spiegato Fabio Galli di Assogestioni «il problema degli investimenti sostenibili, soprattutto per quelli più impegnativi, è che danno dei benefici pubblici (sociali) ma i costi sono tutti a carico dei privati».

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