Gli indirizzi IP alla ricerca di nuovi spazi

Le tecniche di indirizzamento dei dispositivi collegati a Internet sono in costante evoluzione. Obiettivo: evitare che l’espansione della Rete causi il prematuro esaurimento degli indirizzi disponibili

dicembre 2003 Chiunque abbia configurato manualmente una connessione
a Internet sa che viene utilizzata una famiglia di protocolli indicata collettivamente
come TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol).

L’IP è il protocollo che permette di instradare
i pacchetti di dati su Internet dal computer di partenza, attraverso un complesso
di reti molto diverse tra loro, fino al computer di destinazione. Nel modello
di riferimento OSI, l’IP si trova al livello di Rete
(livello 3), subito sopra il livello Data link che controlla
le comunicazioni al livello fisico.

Esempi di protocolli Data link sono quelli Ethernet di una
rete fissa (a casa o in ufficio) e il PPP (Point to Point Protocol)
che usate per connettervi a Internet via modem tramite la normale linea telefonica.
Al livello 4 (Trasporto) ci sono protocolli come TCP
e UDP, altri due protagonisti della comunicazione su Internet.
L’IP è però il protocollo chiave usato da tutti i nodi (computer,
router e altri dispositivi) per connettere in una grande internetwork (da cui
il nome Internet) centinaia di migliaia di sottoreti e centinaia di milioni
di utenti.

Indirizzi IP
Così come Ethernet utilizza l’indirizzo MAC (Media Access
Code)
di ogni scheda di rete per identificare i nodi fisici di una
rete, IP utilizza un numero univoco – l’indirizzo IP – per identificare
ogni dispositivo connesso a Internet.

Per la cronaca, IP è nato nel 1978 dallo sdoppiamento del TCP
(del 1974) in TCP e IP. TCP stabilisce una connessione full duplex tra due sistemi,
assicura il recapito dei pacchetti (datagram), provvede al controllo di flusso
per evitare la perdita di pacchetti, numera i pacchetti in modo da ricostruirne
la sequenza e assicura l’integrità dei pacchetti. La funzione di
IP è fornire un modo universale per impacchettare i dati e trasmetterli
su Internet attraverso sottoreti eterogenee.

I datagram IP a loro volta sono incapsulati nei pacchetti
del livello Data Link (spesso chiamati frame) e ogni router
incontrato durante il percorso estrae il datagram dal frame, stabilisce a quale
altro router o computer inviare il datagram, lo reincapsula in un frame e lo
inoltra da router a router fino a destinazione.

Tuttavia non sempre il canale logico di comunicazione da punto a punto ha bisogno
delle funzioni di affidabilità e recupero del TCP, costose in termini
di prestazioni. Perciò nel 1980 venne introdotto il più snello
e rapido UDP (User Datagram Protocol), l’altro protocollo di trasporto
usato oggi insieme al TCP.

Indirizzi IP basati su classi
Quando il protocollo IP fu standardizzato, prevedeva che a ogni dispositivo
collegato a una rete basata su IP (come Internet) venisse assegnato un indirizzo
unico di 32 bit. Se ad esempio un computer (detto host, nel
gergo di Internet) ha sia una connessione a Internet sia un’interfaccia
LAN verso una rete interna basata su TCP/IP (per esempio una rete Ethernet aziendale
o domestica), allora l’host utilizza due indirizzi IP: uno pubblico
per farsi riconoscere su Internet e uno ad uso privato per
farsi riconoscere sulla rete locale.

Nella attuale versione 4 dell’indirizzamento IP (IPv4), un indirizzo
IP di 32 bit è composto da due parti: la prima (network number
o network prefix
) identifica la rete in cui si trova l’host e
la seconda (host number) identifica il particolare host di
quella rete. Come si vede, la struttura degli indirizzi IP era concepita a due
livelli gerarchici e tutti gli host della stessa rete avevano lo stesso numero
di rete nel loro indirizzo IP.

Dato che esistono reti di dimensioni assai diverse, lo spazio degli indirizzi
(in teoria oltre quattro miliardi di valori) venne suddiviso in tre
classi principali (A, B e C)
con diversa suddivisione dei 32 bit per
il numero di rete e il numero di host.

La Classe A prevede otto bit per il numero di rete e 24 bit
per il numero di host. Con il primo bit a zero e due valori riservati, la Classe
A permette di avere 126 reti e oltre 16 milioni di host per rete. Visto che
la Classe A utilizza 31 dei 32 bit disponibili, occupa il 50% dello spazio di
indirizzamento IPv4, come dire che metà di Internet è stata riservata
agli enti governativi americani e alle grandi aziende.

La Classe B suddivide i 32 bit a metà: 16 per il numero
di rete e 16 per il numero di host; anche in questo caso si tratta di una classe
di indirizzi dedicata a grandi reti, sebbene non enormi come nella Classe A.
I primi due bit del numero di rete sono fissi a 10 (in binario), quindi restano
16.382 reti, ciascuna con un numero massimo di 65.534 host. Gli indirizzi di
Classe B occupano il 25% dello spazio IPv4.

La Classe C dedica 24 bit al numero di rete (di cui i primi
tre fissi a 110) e 8 bit al numero di host. Si possono quindi avere 2.097.150
reti, ciascuna con un massimo di 254 host. La Classe C rappresenta il 12,5%
degli indirizzi IPv4, come dire che solo un ottavo della rete è disponibile
per i piccoli utenti (comprendendo tra questi le aziende con meno di 255 connessioni
a Internet).

Per completezza, citiamo altre due classi: la Classe D utilizza
indirizzi che iniziano per 1110 e supporta il multicasting (trasmissione contemporanea
a più host, a differenza dell’unicasting delle classi A, B e C)
e la Classe E (primi 4 bit 1111) è riservata per uso
sperimentale.

Notazione decimale
Anziché esprimere gli indirizzi IP in forma binaria, è comune
usare la notazione decimale con punti di separazione, suddividendo i 32 bit
in quattro campi di 8 bit, ciascuno espresso in decimale (valori da 0 a 255).
Perciò gli indirizzi di Classe A occupano l’intervallo da 1.xxx.xxx.xxx
a 126.xxx.xxx.xxx; quelli di Classe B vanno da 128.0.xxx.xxx a 191.255.xxx.xxx
e quelli di Classe C vanno da 192.0.0.xxx a 223.255.255.xxx.

continua…

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