Gli indirizzi IP alla ricerca di nuovi spazi – parte 2

Limitazioni delle classi Alla luce dell’espansione esplosiva di Internet e del suo utilizzo da parte di singoli utenti e piccole organizzazioni, salta all’occhio come la suddivisione iniziale degli indirizzi IP fosse illogica. Per di più, ad aggravare …

Limitazioni delle classi
Alla luce dell’espansione esplosiva di Internet e del suo utilizzo da parte
di singoli utenti e piccole organizzazioni, salta all’occhio come la suddivisione
iniziale degli indirizzi IP fosse illogica. Per di più, ad aggravare le
cose, durante le prime fasi dello sviluppo della rete gli indirizzi venivano concessi
liberamente a chi li chiedeva, senza verificare le reali necessità e senza
preoccuparsi di dilapidare lo spazio degli indirizzi IP.

Si può anche notare che i 32 bit dell’IPv4 siano
apparsi tecnicamente comodi ed estetici, ma con qualche bit in più si
sarebbe avuta un’estensione esponenziale degli indirizzi che avrebbe ritardato
l’attuale situazione di scarsità.

Un punto chiave è che gli indirizzi di Classe B prevedono
reti troppo grandi, adatte giusto a grandi enti ed aziende, mentre gli indirizzi
di Classe C, oltre a essere la minoranza, causano anch’essi sprechi. Per
esempio, un’azienda con 300 host sarebbe portata a chiedere un indirizzo
di rete di Classe B, sprecando oltre 65.000 indirizzi IP. A sua volta, una piccola
azienda che occupasse un indirizzo di rete di Classe C lascerebbe inutilizzata
gran parte dei 254 indirizzi host.

Subnetting
Mentre nelle intenzioni originarie dei progettisti il numero di rete
(la prima parte dell’indirizzo IP) avrebbe dovuto identificare univocamente
una rete fisica, gli inconvenienti citati hanno reso la cosa impossibile o poco
pratica. Assegnare un diverso numero di rete di classe A, B o C a ogni rete
significa infatti sprecare gran parte degli indirizzi disponibili e avanzare
a grandi passi verso il loro esaurimento.

Nel 1985 venne perciò definita una procedura per supportare il subnetting,
ovvero la suddivisione di un singolo numero di rete di classe A, B o C in frammenti
più piccoli. Oltre agli inconvenienti citati, stava infatti accadendo
che le tabelle usate dai router per l’instradamento stavano diventando
sempre più grandi, visto che ogni utente chiedeva un nuovo numero di
rete fisica; inoltre gli amministratori di rete erano costretti a chiedere alle
autorità Internet nuovi indirizzi di rete prima di poter installare una
nuova rete all’interno dell’azienda.

Con il subnetting è stato introdotto un terzo livello gerarchico
nella struttura degli indirizzi IP
(parliamo sempre di IPv4; il nuovo
IPv6 è ancora agli inizi).
Oltre al numero di rete e al numero di host viene
usato il numero di subnet, ricavato usando un certo numero
di bit contigui all’inizio dell’originario host number. Il risultato
è che con lo stesso numero di rete si possono creare diverse reti fisiche,
il cui indirizzo è dato dai bit del numero di rete più i bit del
numero di sottorete. Per esempio, per una rete di Classe B, suddividendo l’originario
host number in subnet number di 8 bit e host number di 8 bit, si possono indirizzare
oltre quattro milioni di reti da 254 host.

I router Internet vedono sempre il network number come indirizzo di rete e
limitano le dimensioni delle tabelle di routing. Invece i router interni all’azienda
ricavano il reale indirizzo di rete prendendo, dei 32 bit dell’indirizzo
IP, tanti bit quanti sono gli 1 della subnet mask, una maschera di 32 bit che
serve a distinguere l’indirizzo fisico di rete effettivo (extended network
prefix) dall’indirizzo dell’host.

Nell’esempio precedente, per sfruttare 8 bit dell’host number di
Classe B come subnet number, si usa una subnet mask con 24 bit a 1 e 8 bit a
0, vale a dire 255.255.255.0 nella notazione decimale puntata.

Un esempio di subnetting
Supponiamo che un’organizzazione titolare della rete 193.1.1.0/24 (Classe
C) desideri definire sei sottoreti, ciascuna con al più 25 host. Il numero
di sottoreti è una potenza di 2, quindi definiamo 8 sottoreti utilizzando
tre bit dell’host number di Classe C. La subnet mask sarà 255.255.255.224
(11111111.11111111.11111111.11100000) e il prefisso di rete esteso sarà
quindi di 27 bit (i 24 di Classe C più i tre di sottorete). La prima
delle otto sottoreti sarà identificata da 193.1.1.0/27, la seconda da
193.1.1.32/27 e così via fino all’ottava: 193.1.1.224/227.

Routing senza classi (CIDR)
La crescita esponenziale di Internet oltre ogni previsione e l’assegnazione
inefficiente degli spazi di indirizzamento, nei primi anni ’90 fece suonare
un campanello d’allarme. O si cambiava rotta o si sarebbero presto verificati
due fenomeni: gli indirizzi di Classe B (il vero nocciolo della questione) si
sarebbero esauriti e la rapida dilatazione delle tabelle di routing avrebbe
portato a dimensioni ingestibili. Inoltre, a breve termine, si sarebbe verificato
l’esaurimento dello spazio di indirizzi a 32 bit di Ipv4.

La risposta alla criticità della situazione fu lo sviluppo del Classless
Inter-Domain Routing (CIDR)
, documentato nel 1993. In questo modo si
è guadagnato tempo per sperimentare l’indirizzamento Ipv6 (in prova
dal 1996).

Il routing CIDR ha prodotto due effetti: l’eliminazione delle classi
A, B e C e l’aggregazione dei percorsi di rete (route) tramite singoli
voci, nelle tabelle dei router, che rappresentano uno spazio di indirizzamento
equivalente a migliaia di percorsi tradizionali basati sulle classi.

Senza la rapida introduzione del CIDR (che convive con classi e subnetting)
nel ’94/95, le tabelle di routing avrebbero superato le 70.000 voci (indirizzi
di rete), mettendo Internet in ginocchio.

CIDR sostituisce la suddivisione rigida tra prefisso di rete e numero di host
delle classi tradizionali generalizzando il concetto di prefisso di rete. Anziché
8, 16 o 24 bit per il prefisso, CIDR utilizza un prefisso di rete di lunghezza
arbitraria da 13 a 27 bit.

Anche in questo caso la lunghezza del prefisso è comunicata attraverso
una maschera di bit. In questo modo CIDR permette di assegnare spazi di indirizzamento
su misura per reti di dimensioni arbitrarie, senza spreco di indirizzi e con
minima occupazione nelle tabelle di routing. La dimensione delle reti può
variare infatti da 32 indirizzi (prefisso di 27 bit) a mezzo milione (prefisso
di 13 bit).

Il precedente subnetting aveva migliorato lo sfruttamento dello spazio indirizzi,
ma con minore efficienza, perché conservava l’uso delle classi,
utilizzando solo 8, 16 o 24 bit per gli indirizzi di rete visti dai router globali.
Al contrario, CIDR permette di creare aggregazioni gerarchiche di indirizzi
che rispecchiano la struttura reale della rete, che è suddivisa in sistemi
autonomi (AS, Autonomous Systems)
, ovvero reti di grandi enti o grandi
provider che amministrano in modo autonomo un vasto spazio indirizzi. I grandi
ISP a loro volta riallocano porzioni dei loro indirizzi ad aziende e provider
più piccoli.

continua..

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