Gestire il rapporto di lavoro nel settore turismo

Facciamo il punto su alcuni importanti aspetti della circolare n. 34/2010 del Ministero del lavoro, evidenziando in particolare gli aspetti inerenti i contratti maggiormente flessibili.

In data 29 settembre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emanato la circolare n. 34 concernente la gestione del rapporto di lavoro nel settore turismo.
Vista, infatti, la stagionalità e variabilità di tale settore, è sembrato opportuno cercare di chiarire tutte le tipologie contrattuali utilizzabili. Ovviamente il Ministero si sofferma su quelle maggiormente flessibili e caratterizzate da tutele minori, cioè quelle tipologie di più delicata attuazione.
Qui di seguito ci soffermeremo sui punti di maggiore interesse.

Contratto di apprendistato
Il contratto che per primo viene preso in analisi è l’apprendistato che, dopo le novità introdotte dal D.Lgs. n. 276/2003, ha subìto una battuta di arresto dovuta al clima di incertezza in cui versa la formazione obbligatoria. Infatti, in questi anni si sono avuti differenti rallentamenti applicativi dovuti alle diverse normative regionali e alle tempistiche di recepimento da parte dei CCNL che man mano sono andati in scadenza.
Muovendo da tali difficoltà e dai diversi chiarimenti e interpelli avuti in questi anni, il Dicastero inizia l’analisi dalla possibilità di instaurazione di un rapporto di apprendistato con orario ridotto. L’unico limite alla gestione del rapporto di apprendistato con orario part-time è insito nel vincolo di non snaturare il rapporto stesso, cioè nel garantire il fine formativo del contratto, che, si ricorda, è a causa mista. A suffragio di tale tesi, anche il monte ore di formazione, aziendale o esterno, non viene riproporzionato in virtù dell’orario ridotto ma dovrà essere interamente svolto per poter garantire la genuinità del rapporto.
Continuando nell’analisi dell’apprendistato il Ministero si sofferma sulla possibilità di instaurare un rapporto stagionale, cioè volto a integrarsi con la natura variabile del settore. Lo stesso ricorda che, come già chiarito con la circolare n. 27 del 2008 e l’interpello n. 25 del 2010, le aziende di tale settore hanno la possibilità, prevista dal CCNL, di instaurare un rapporto che sia in “cicli stagionali”. Unico vincolo alla gestione di tale rapporto risiede nel periodo complessivo massimo di quarantotto mesi entro i quali portare a conclusione il rapporto stesso. I contratti collettivi del settore Turismo e Industria turistica hanno, inoltre, chiarito che l’obbligo formativo di 120 ore verrà riproporzionato in virtù del periodo di occupazione annuo.
L’ultimo punto che analizza la circolare relativamente all’apprendistato è la normativa di riferimento nel caso di un’azienda dislocata in diverse regioni. Infatti, bisogna ricordare che in base a quanto previsto dall’articolo 117, comma 3, della Costituzione, l’istruzione e la formazione professionale sono oggetto di legislazione concorrente, la cui potestà legislativa spetta alle Regioni. A parere del Ministero, nel caso prospettato, la normativa applicabile è quella prevista nella Regione in cui ha la sede legale l’azienda. Non bisogna, però, dimenticare che tale analisi semplifica notevolmente la reale problematica in cui si trovano ad operare le aziende ed i loro consulenti e, non da ultimo, lascia dubbi circa la reale fattibilità.
Poniamo il caso di un’azienda con sede legale in una Regione e unità locale in un’altra. Al momento in cui tale azienda opta per l’instaurazione di un rapporto di apprendistato nella Regione in cui ha la sede operativa rimandando alla normativa della Regione su cui insiste la sede legale, si potrebbe aprire uno scenario nel quale il piano formativo previsto da quest’ultima Regione non venga riconosciuto dalla Regione che dovrà validarlo ed erogare la formazione relativa, visto la totale e piena libertà legislativa riconosciuta alle Regioni. Ci troviamo, quindi, con un rapporto di apprendistato senza relativo progetto formativo e che, per tanto, viene snaturato e rischia di venire impugnato in caso di accesso ispettivo o durante un contenzioso col lavoratore. Ovviamente, tale problematica potrà essere bypassata in tutti quei casi in cui le rispettive normative regionali rimandino a piani formativi previsti a livello nazionale (vedi il caso dei rimandi regionali ai piani formativi pubblicati dall’Isfol – istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori).
A tale processo logico sembra portare anche la previsione normativa per cui la gestione delle comunicazioni telematiche inerenti la gestione del rapporto di apprendistato sono escluse dall’accentramento delle comunicazioni nella Regione in cui ha sede il datore di lavoro o il consulente della stessa, vista la differente normativa regionale e, soprattutto, il differente iter procedurale esistente.

Lavoro intermittente
Il Ministero cerca di fare un po’ di chiarezza e ordine circa tale tipologia contrattuale, visti i continui dubbi di molti addetti ai lavori. In prima istanza, riporta l’elenco dei casi previsti dalla Legge per l’instaurazione di un rapporto di lavoro a chiamata. Per poter instaurare un rapporto di lavoro intermittente, infatti, si deve ricadere in uno dei casi elencati di seguito:

  • con soggetti di età inferiore ai 25 anni o superiore ai 45 anni;
  • a fronte di esigenze previste ed individuate dai CCNL;
  • per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

Si ha, inoltre, la possibilità di instaurare un rapporto di lavoro intermittente in base alle esigenze provvisoriamente individuate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Tale operazione è stata attuata con D.M. 23 ottobre 2004 secondo cui “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657”.
Qui il Ministero riporta, a titolo esemplificativo, una parte dell’elenco previsto dalla normativa del 1923, senza però specificare quello che già aveva detto con la circolare n. 4 del 3 febbraio 2005 la quale recita che “i limiti dimensionali e le altre limitazioni alle quali il regio decreto fa riferimento (es. autorizzazione dell’ispettorato del lavoro) non operano ai fini dell’individuazione della tipologia di attività lavorativa oggetto del contratto di lavoro intermittente. Non rileva pertanto neppure un giudizio caso per caso circa la natura intermittente o discontinua della prestazione”. A parere di chi scrive, bisogna però interpretare tale previsione come mera dimenticanza, tale da non andare a inficiare quanto previsto dalla circolare del 2005, data ormai per acquisita.
Il Ministero continua poi ricordando quali sono gli obblighi procedurali in capo al datore di lavoro.
Come per la generalità dei lavoratori subordinati, anche in questo caso l’azienda datrice di lavoro ha l’obbligo di invio della comunicazione telematica di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego (tramite i nodi regionali o quello ministeriale). Altro obbligo in capo all’azienda è la consegna del contratto di lavoro o di copia della comunicazione telematica inviata al Centro per l’impiego. Con un contratto così particolare pare, però, riduttiva la consegna della comunicazione “unilav”, vista la carenza di informazioni presenti sulla stessa. Infatti, a norma dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 276/2003 il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova, quindi nulla osta circa una forma differente o più semplificata come può essere la consegna della comunicazione telematica ma sicuramente, viste le criticità di una forma contrattuale così elastica e poco tutelante per il lavoratore, sarebbe meglio procedere con la consegna del contratto di lavoro, stipulato in base al dettato previsto dall’art. 35, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003 che prevede gli elementi elencati di seguito:
a) indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall’articolo 34 che consentono la stipulazione del contratto;
b) luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
c) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennità di disponibilità, ove prevista, nei limiti di cui al successivo articolo 36;
d) indicazione delle forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché delle modalità di rilevazione della prestazione;
e) i tempi e le modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Lavoro accessorio
Pur se di nuova introduzione, visti i ritardi applicativi, il lavoro accessorio risulta di sicuro interesse nel settore turismo, vista la grande flessibilità che lo contraddistingue.
Tralasciando in questa sede l’analisi di quali sono le peculiarità di tale tipologia contrattuale, vorrei solo soffermarmi su due punti.
Bisogna, infatti, notare come quanto scritto dal Ministero nella circolare in analisi circa la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio anche con riferimento a figure professionali normalmente ricorrenti nell’organizzazione dell’impresa utilizzatrice, non sia da interpretare come utilizzo di tale tipologia contrattuale per la gestione ordinaria, ma pur sempre per prestazioni del tutto occasionali, ricadenti in certe tipologie di prestazioni o con determinati soggetti. Quindi tale dichiarazione deve essere letta solo come libertà di utilizzo del lavoro accessorio per qualsiasi figura professionale presente nell’azienda, non per le sole figure presenti occasionalmente in azienda. L’attenzione deve, quindi, essere rivolta non all’attività svolta ma alla modalità di esecuzione, all’occasionalità della prestazione stessa.
La seconda conferma del Ministero riguarda quanto espresso dall’Inps con propria circolare n. 88 del 2009 circa la possibilità di utilizzo di tale tipologia di lavoro solo nel rapporto di lavoro diretto tra prestatore ed utilizzatore finale. Resta, infatti, esclusa la possibilità per un’azienda di utilizzare tale forma di lavoro in contratti di appalto o somministrazione a favore di terzi.

Lavoro a termine
Di sicuro interesse è la possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo determinato. Il Ministero ricorda, infatti, che tale contratto “mantiene nel settore turismo una sua particolare conformità e capacità di utilizzo”. Non bisogna, però, dimenticare l’importanza, anche in questo caso, di determinare le cause di costituzione del rapporto, come previste dal D.Lgs. n. 368/2001.
Per tale settore si hanno, inoltre, varie semplificazioni che vanno dalla possibilità di costituire rapporti di durata non superiore ai tre giorni per le motivazioni previste dai CCNL stipulati dai sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, per le quali non ricorre nemmeno l’obbligo di individuare apposite ragioni giustificative, alla possibilità di escludere i limiti quantitativi all’utilizzo di tale contratto visto il carattere stagionale del settore, alla possibilità di escludere il tempo massimo previsto per la generalità dei rapporti a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro pari a 36 mesi.

Appalto di servizi
Il Ministero si sofferma su tale tipologia contrattuale vista la spinta che negli anni si è avuta verso l’outsourcing. L’appalto è stato rivisto con l’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 che prevede che lo stesso sia genuino nel momento in cui siano presenti due caratteri indispensabili: il rischio d’impresa e l’organizzazione dei mezzi. Nella circolare in analisi, giustamente, ci si sofferma su quelle che possono essere le criticità, vista la facilità con cui molte aziende esternalizzano dei servizi con contratti molte volte carenti o privi delle caratteristiche genuine dell’appalto. Il Ministero cerca di fare chiarezza richiamando due interpelli del 2009 con i quali si era già soffermata ad analizzare tale tipologia contrattuale. I punti su cui gli stessi ruotano sono principalmente due:

  • il contratto d’appalto, per essere genuino, deve avere tutti i requisiti essenziali previsti dalla legge ed enucleati dalla giurisprudenza: organizzazione imprenditoriale, rischio d’impresa, esercizio del potere direttivo, impiego di capitali, macchine ed attrezzature;
  • col secondo interpello il Ministero cerca di analizzare maggiormente la tipologia dell’appalto di servizi, che risulta più delicata vista la facilità di confusione tra tale forma e la mera messa a disposizione di una prestazione lavorativa. Infatti, in contratti caratterizzati da una forte carenza di mezzi aziendali diversi dalla forza lavoro, la genuinità dell’appalto si estrinseca maggiormente nel potere direttivo e nell’autonomia organizzativa.

La detassazione del salario di produttività
Anche la circolare in analisi prende in considerazione uno degli argomenti di più forte attualità.
Il Ministero afferma, come già detto in precedenza, che l’imposta sostitutiva del 10% “deve ritenersi applicabile anche con riferimento alle prestazioni straordinarie, alla sola condizione che esse siano motivatamente riconducibili ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa ovvero ad altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico della realtà aziendale considerata”.
Lo stesso prosegue, poi, portando degli esempi pratici relativi al settore in analisi, come il lavoro prestato durante l’orario notturno dal personale degli alberghi come portieri o personale di sicurezza.
Ovviamente un’interpretazione così estensiva della normativa, tale da portare ad agevolare tutte le erogazioni collegate ad elementi premiali apre le porte a futuri contenziosi. Non è, infatti, da escludere che da qui a qualche anno l’Agenzia delle Entrate metterà in discussione l’applicazione dell’imposta sostitutiva e le motivazioni alla base della stessa. È molto importante non cadere nell’errore di agevolare ogni erogazione prevista dagli ultimi chiarimenti, ma solo quelle che davvero sono collegate ad un incremento produttivo e per la quali si possono avere documentazioni atte a giustificare tale operato.

A chiusura di questo breve excursus sulle differenti tipologie contrattuali previste nel settore turismo, il Ministero pone l’accento sulla “tolleranza zero” circa le “forme peggiori di sfruttamento del lavoro”. La filosofia che porta a tale dichiarazione si deve ravvisare nella possibilità ormai prevista dalla normativa di utilizzare differenti tipologie contrattuali flessibili, incentivate o agevolate. Quindi a fronte di un così ampio ventaglio di possibilità che vanno incontro alle esigenze dell’azienda non può più essere tollerato un comportamento aziendale volto a favorire “lavoro irregolare di pseudo-appaltatori o di cooperative spurie” che creano effetti di dumping economico e sociale in un settore come quello del turismo che appare in realtà molto vivace e improntato ad un leale dinamismo dell’occupazione.

(Per maggiori approfondimenti vedi Novecento Lavoro, Novecento Media)

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