Garante Privacy, l’impresa può conservare i file dei dipendenti per far valere i propri diritti

Anche nel caso di un licenziamento per illecito, un’impresa non può accedere ai documenti privati lasciati nel Pc dal dipendente, ma può conservarli per la propria autotutela al fine di poterli eventualmente presentare come prova nell’ambito del contenzioso penale.

Il diritto alla riservatezza dei lavoratori
deve essere bilanciato con la possibilità per le imprese di tutelarsi
nell’ambito di eventuali procedimenti penali.

Lo ha chiarito il Garante decidendo sul ricorso di
un dipendente che chiedeva al suo ex datore di lavoro di cancellare alcune
cartelle personali presenti nel computer portatile restituito dopo il
licenziamento, opponendosi ad ogni ulteriore uso dei suoi dati contenuti nel Pc.
Nelle cartelle personali erano infatti conservate e-mail, fotografie e altra
documentazione di esclusiva valenza personale.

Nel corso dell’istruttoria, la società ha
però affermato che proprio in quel materiale potevano essere presenti prove
della concorrenza sleale posta in essere dal dipendente insieme ad altri
colleghi. L’azienda intendeva quindi mettere l’hard disk del computer, senza
alterazione alcuna, a disposizione dell’autorità giudiziaria al fine di far
valere i propri diritti.

Il Garante non ha accolto la richiesta avanzata
dall’interessato di far cancellare i dati, ma ha deciso di inibire alla società
l’accesso alle cartelle private poiché il trattamento dei dati personali
estranei all’attività lavorativa avrebbe violato i principi di pertinenza e non
eccedenza previsti dal Codice della privacy. L’Autorità ha però riconosciuto il
diritto dell’impresa di conservare i file del dipendente al fine di poterli
eventualmente presentare come prova nell’ambito del contenzioso penale.
L’acquisizione dei dati nel procedimento dovrà comunque avvenire su precisa
disposizione del giudice.

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