G20+1

L’uno in più è Bill Gates, che a Cannes ha presentato un rapporto che è tutto un programma, di Roi sociale.

Non c’è enfasi su speculazione finanziaria, tristi storie di debiti sovrani, misure draconiane, riforme strutturali, elementi di flessibilità o altro, nel report dettagliato che Bill Gates ha presentato al G20 di Cannes.

C’è invece la gente.
E il concetto di Roi sociale.
Gates ha ribattuto il tasto a lui caro da anni della lotta povertà, allargando il concetto, facendo cioè capire che il tema degli aiuti riguarda tutti.

Ossia, un aiuto dato ai paesi poveri non è solamente indirizzato a loro, ma a tutti. Anche perché, sottotraccia, c’è che anche chi non sembra o non si sente povero, rischia di esserlo o tornare a esserlo.

L’invito a sostenere lo sviluppo degli indigenti, con coscienza e con un programma condiviso, non è infatti indirizzato solamente ai proverbiali ricchi, ma anche ai nuovi ricchi.

Senza tergiversare: sono chiamati a contribuire anche i miracolati economici, dalla Cina al Brasile, dall’India alla Corea.
Ci sono 2 miliardi di totalmente poveri nel mondo: alimentarli, educarli, aiutarli al lavoro è dapprima un dovere, poi fonte di beneficio di ritorno per le economie di mercato.

Perché dirlo ora al G20?
Perché quando l’economia pensa a curarsi le ferite perde la visione periferica. E, lo dice chiaramente, un taglio dei contributi allo sviluppo vuol dire ingigantire le distanze attualmente esistenti.

Ancora più nettamente: non è l’1% del budget che gli Usa e i grandi Paesi europei spendono per gli aiuti a determinare i problemi fiscali che attualmente stanno vivendo.

L’aiuto allo sviluppo è un piccolo investimento ad alta resa. Un Roi sociale, da raggiungersi anche incentivando il settore privato a partecipare e in parte pure con quote derivanti dalle tasse sul tabacco, sul carburante e sulle transazioni finanziarie. Senza timore di urtare i potentati economici.
Ecco perché G21.

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