Futuro artigiano: l’Italia ha un’opportunità

Dopo decenni di disinteresse, i piccoli e medi lotti della produzione italiana potrebbero nuovamente creare mercato nazionale ed internazionale.

Si parla con insistenza del cosiddetto artigianato digitale, un qualcosa che mediaticamente viene presentato come una rivoluzione positiva di straordinaria importanza. L’enfasi è certamente esagerata e spesso fuorviante, ma una sostanza c’è. In attesa che questo modo di vedere le cose ci porti al contadino digitale, o all’allevatore numerico, facciamo qualche considerazione.
L’artigianato digitale prevede l’uso di dispositivi noti da tempo, ma solo adesso disponibili a prezzi medi, che realizzino prototipi o semilavorati a partire da un opportuno modello 3D del prodotto.
La disponibilità di strumenti a basso costo quali frese numeriche, laser cutter o prototipatori rapidi cambia molto il processo di produzione, permettendo di fare economie, di arrivare più velocemente al mix di prodotti monetizzabile, di far incontrare un aumento della produzione con la qualità dei dettagli.


Un popolo senza software

Va forse ricordato che l’artigianato italiano esisteva anche prima e lo abbiamo massacrato nel nome di una rivoluzione universitaria che ha portato a parcheggiati, disoccupati e stagisti. Non si capisce, in particolare, perché l’artigiano debba essere un poveretto mentre l’artigiano digitale diventi improvvisamente un ineffabile demiurgo.
Nel caso dell’Italia, a nostro avviso, è però necessario fare un ulteriore passo indietro, tornando ai tempi nei quali l’open software ed Internet erano cose per pochi.
In quegli anni la nostra penisola aveva raggiunto un livello di competitività internazionale senza precedenti. Erano gli anni nei quali stavamo costruendo la nostra fortuna anche attraverso quel gigantismo del debito pubblico che da allora ci zavorra verso il basso, per cui le analisi non possono essere solo superficiali.
Ma è certo che venticinque anni fa la competizione internazionale non era stata portata all’eccesso dalla disintermediazione portata da Internet. E’ anche evidente che noi italiani non abbiamo saputo sfruttare l’avvento della Rete: a nostro avviso perché non sappiamo scrivere software e perché Internet è premiante su platee di centinaia di milioni di utenti, che noi non sappiamo raggiungere.
Sappiamo bene che facendo queste affermazioni arriveranno proteste di ogni tipo, sia generiche accuse di deprezzare l’italico gene, sia puntuali indicazioni di successi commerciali. Ma guardare i picchi dell’eccellenza italiana è fuorviante: quello che conta è il livello del sistema, che nel software e in Rete è molto basso.


Internazionalizzare i piccoli lotti

Torniamo all’artigianato. L’Italia ha da sempre la sua forza in moltissimi piccoli e medi lotti di produzione, che offrono qualità molto più alta della media internazionale ad un prezzo chiaramente maggiore, anche se non per forza sensibilmente maggiore.
Internet ha reso la competizione globale, levandola dal passaparola generato dal prodotto e spostandolo sull’immagine e sulla disintermediazione. L’Italia s’è divisa in due: chi è riuscito ad internazionalizzarsi e a fare grandi numeri ha avuto un iniziale successo, mentre chi non ce l’ha fatta ha visto la sua attività morire, alle volte lentamente, alle volte velocemente.
In una seconda fare, anche chi aveva avuto un iniziale successo ha dovuto fronteggiare un nuovo aumento di concorrenza e quindi ridimensionare le proprie aspettative.
Ma questo valeva finché si opponeva un artigianato intelligente ad una produzione industriale fatta di grandissimi numeri. Oggi la tecnologia Ict e non Ict permette una riscrittura dei processi in termini di competitività dei piccoli e medi lotti di produzione.


Chi vuol fare, faccia

La politica italiana non ha saputo né aiutare, né difendere la produzione italiana nella sue caratteristiche salienti. E’ in quest’ottica che Unioncamere ha sposato il recentissimo interesse di Google per l’Italia.
Il colosso mondiale intende investire in un numero elevato di distretti produttivi nostrani, laddove la mappatura delle aziende da promuovere è chiara e dettagliata. E’ un’idea buona, chiunque ne sia il propugnatore. Ma se ne può parlare.
Una prima riserva è che Google chiede che ci sia la banda larga, che in Italia sembra da anni un miraggio. Poiché la situazione è nota, è ragionevole pensare che Google abbia anche una proposta a breve termine nel caso in cui la banda larga non venga attivata dal potere politico. C’è da immaginare che se possiamo cedere pezzi di Alitalia e Telecom, forse possiamo cedere anche pezzi di una rete che non c’è.
Inoltre va ricordato che il colosso Usa ha interesse ad interagire maggiormente con i Paesi al di fuori degli Usa:
l’approccio alla tassazione degli utili adottato da Google è oggi all’interno di accordi perfettamente legali, ma in via di ridiscussione in sede internazionale in quanto inadeguati alla situazione attuale.
L’italia può trarre vantaggio dalla ridefinizione dei processi produttivi attualmente in atto e i grandi operatori possono contribuire.
Google può far qualcosa, se vuole e se la lasciamo fare. Vuole? La lasceremo fare? Ce la faremo?
Per Alitalia, questa domanda ha come risposta attuale “alle Poste l’ardua sentenza”.

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