Futuro a rischio per la filiera italiana dell’elettronica

Francesco Meroni, direttore commerciale di Omr, denuncia l’assenza di programmazione industriale del settore

Il momento difficile della crisi sembra passato. Diversi sono i segnali che concordano con un ottimismo che lascia ben sperare per il futuro. Ma siamo sicuri che la situazione non sia invece meno gestibile di quanto non appaia? Ne abbiamo parlato con chi possiede un’esperienza di più trent’anni in un settore difficile come quello della produzione dei circuiti stampati. Andando direttamente al nocciolo della questione, Francesco Meroni, direttore commerciale di Omr, ha tracciato per noi un quadro crudo e realistico della situazione dell’elettronica in Italia, essenziale per capire – da una certa prospettiva – quale sarà il futuro del settore.

Decennio difficile quello appena concluso. Nel settore dell’elettronica abbiamo perso industria, tecnologia, know-how. Secondo lei la situazione è recuperabile?
Non credo che sia recuperabile. Vi sono settori significativi ormai insteriliti. Consideri quello delle telecomunicazioni; era questo un comparto a cui guardare con attenzione nel passato, in cui investire. Purtroppo non è successo nulla: non c’è stata nessuna politica sana, lungimirante, responsabile. Sappiamo bene cosa sia successo a molte delle aziende italiane del settore. Le multinazionali delle telecomunicazioni presenti in Italia sono oggi sempre più aziende senza fabbriche, in preda a sempre più frequenti manovre di spin-off, che portano a forti ridimensionamenti e, spesso, a chiusure. E, con la chiusura delle fabbriche, c’è una perdita inevitabile di know-how, quel valore importante che sono le persone e le conoscenze. Questo, una volta perso, non è facilmente recuperabile.

Cosa è mancato dunque in questi anni?
Se guardiamo alle nostre spalle notiamo che è mancata una vera e propria programmazione economica, una politica industriale lungimirante. Oggi l’industria elettronica italiana si basa principalmente sulla subfornitura di componenti; abbiamo pochi prodotti finiti e, ancor meno, campioni nazionali che possano rappresentare il settore con autorità. Basti guardare ai valori dell’incidenza dell’elettronica italiana nel contesto europeo, valori che parlano di una riduzione costante ormai da 15 anni. Per limitare la prospettiva al settore dei circuiti stampati, questo ha conosciuto una riduzione di almeno il 50% nell’ultimo decennio. Abbiamo pagato il fatto di essere stati un grande sistema produttivo al servizio della grande industria europea (con le attività di subfornitura di cui abbiamo trattato), pagando con la scomparsa di piccole e medie imprese che non sono riuscite a prendere in tempo il treno della globalizzazione. Ecco cosa ha provocato quella mancanza di lungimiranza di cui abbiamo accennato.

Siamo d’accordo sulla mancanza di programmazione lungimirante a livello industriale, ma probabilmente non è soltanto questo quello che è mancato…
Direi proprio di no. Vi sono due altri grandi problemi: l’individualismo tipico della nostra mentalità da una parte – limite culturale che sta distruggendo progressivamente il Sistema Italia – e le dimensioni delle aziende dall’altra. Vede, nel nostro Paese è molto difficile arrivare alle aggregazioni, perché c’è il solito approccio provinciale, individuale, che non permette di fare passi coraggiosi in questo senso. Ciò priva molte delle realtà aziendali dell’opportunità di condividere insieme le varie progettualità e attività di natura commerciale e industriale. E questo porta all’altro problema a cui ho accennato: alle dimensioni dell’industria italiana. Se vogliamo ottenere un ruolo in ambito europeo nei prossimi anni dovremo fare qualcosa di importante per ovviare alle dimensioni risibili di buona parte delle aziende, stringendo alleanze, accordi che diano vita a masse critiche più importanti, a economie di scala molto più strategiche a livello di offerta sui mercati internazionali.

Sembra quasi che il circuito stampato diventerà nel futuro nuovamente un componente strategico, o sbaglio?
 Non sbaglia affatto. È questa una visione che io condivido da tempo. Così come da qualche mese si sta soffrendo pesantemente la mancanza di componentistica attiva (e ormai anche passiva), ritengo che sia questione solo di qualche mese e poi anche il circuito stampato diventerà nuovamente un componente strategico. A questo riguardo bisogna andare oltre in termini di analisi. In pochi si rendono conto di quello che è successo veramente nel mondo: l’Europa ha un output strutturale che è un quarto di quello di 10 anni fa. Nel 2000 l’Europa produceva per quattro miliardi di euro, lo scorso anno non è andata invece oltre il miliardo. Naturalmente i problemi ci sono stati anche in America e, fra l’autunno del 2008 e il 2009, anche in Cina. Nel gigante asiatico molte fabbriche sono fallite (a settembre dello scorso anno 220 fabbriche di circuiti stampati sulle 900 complessive hanno chiuso). Ciò significa che oggi chi compra circuiti stampati non si è ancora reso conto di quanto sia potenzialmente in tensione il sistema. Tantissime capacità produttive sono scomparse, lo abbiamo detto. E chi è rimasto si trova oggi con limiti nelle consegne, perché le capacità sono ormai sature. Il tutto mentre il mercato sta sì risalendo, ma in modo assolutamente minimo. Forse non lo si capisce (o non lo si vuole capire), ma non c’è una vera ripresa sostanziale in Germania o nel resto d’Europa, c’è un semplice riposizionamento delle scorte, un riposizionamento dei semilavorati e il sistema – con tutto ciò – sta già andando in saturazione.

Le difficoltà della Cina aiuteranno quindi indirettamente l’azienda italiana, senza dimenticare che abbiamo sempre dalla nostra una logistica più efficace e le nicchie tecnologiche. Lei concorda con questa affermazione?
 Direi di sì. Certamente la velocità logistica e la qualità potranno essere valide armi di contrasto, ma attenzione: fare nicchia significa fare alta tecnologia e questo implica investimenti. E quando alla base manca un volume significativo nei ricavi, manca la possibilità di generare cash flow. Con una situazione del genere, mi deve spiegare lei dove l’industria italiana troverà i soldi per fare investimenti.. Vede, noi – purtroppo e in modo irreversibile – ci stiamo impoverendo dal punto di vista tecnologico. Quando le aziende, vuoi per la globalizzazione, vuoi per la svalutazione del dollaro, hanno perso produzione e ricavi, perdono le capacità d’investimento nell’ambito delle nuove tecnologie. E di nuovo: è la filiera che si sta indebolendo e ho paura che di ciò ce ne renderemo conto solo quando sarà troppo tardi. Spero veramente che il mercato comprenda quanto sia rischiosa la situazione in cui ci troviamo e che si dia da fare il più possibile per sostenere la filiera elettronica con fatti concreti, permettendo con ciò di migliorare lo sviluppo delle tecnologie su cui essa si basa.

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