Home Fintech, i tre pilastri sono fiducia, reputazione e tecnologia

Fintech, i tre pilastri sono fiducia, reputazione e tecnologia

Lavoro e tecnologia era il tema del Festival dell’economia che si svolge ogni anno a Trento. In uno degli incontri Luigi Zingales, docente di Entrepreneurship and Finance presso l’Università di Chicago, ha affrontato il tema del fintech.

Secondo Zingales la l’affermazione della tecnologia finanziaria – intesa come fornitura di servizi e prodotti finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione – passa attraverso due fattori: fiducia (“La parola credito viene dal latino e significa fidarsi”) e reputazione, ovvero la conoscenza del livello di credibilità del mio interlocutore. Poi sono necessari anche fattori tecnologici come connessione, facilità di collezionare e conservare dati, capacità di elaborare i dati grazie all’intelligenza artificiale e lo sviluppo della crittografia.

Intelligenza artificiale e big data per il fintech

“La connessione – spiega Zingales – elimina i costi del transare a distanza,  permette la raccolta di dati e la sorveglianza a distanza. L’intelligenza artificiale e i big data consentono, attraverso algoritmi sempre più sofisticati in grado di analizzare milioni di dati, di individuare delle previsioni di comportamento e i risultati delle azioni compiute on line dai consumatori. Grazie alla crittografia è oggi possibile effettuare l’autentificazione delle operazioni a distanza”.

Luigi Zingales, docente dell’Università di Chicago

A questo proposito ha portato l’esempio del successo in Africa della lampada solare che ha scalzato le tradizionali (inquinanti e pericolose) lampade a cherosene: “Oltre ai benefici ambientali e alla comodità di una lampada che si carica di giorno e funziona la notte, il successo si deve anche al fatto che i pagamenti avvengono per smartphone  e con un codice. Se il codice non è attivato, la lampada non funziona”.

La tecnologia impatterà anche sull’industria dei pagamenti. L’accesso al mondo del credito digitale è possibile solo attraverso un’identità. “In India – ha osservato Zingales – è lo Stato a rilasciarla mentre negli Stati Uniti sono Google e Facebook”. Il denaro sarà sempre meno cartaceo e sempre più digitale e, paradossalmente, i maggiori problemi li hanno i Paesi più avanzati dove il sistema bancario, con le proprie regole non certo digitali, sono consolidate.

Ma se le criptovalute evidenziano problemi di trasparenza, la moneta digitale sembra avere la meglio perché le transazioni avvengono via smartphone e messaggi Facebook o Google. Un futuro incerto sembra invece attendere le carte di credito, troppo onerose e superate da un mercato liquido sia nell’utilizzo dei pagamenti digitali sia nell’accesso al credito.

“Prima le piattaforme peer to peer e oggi le consumer lending consentono l’accesso ai dati relativi alle abitudini di spesa e al comportamento dei clienti, con la possibilità di sviluppare da parte di soggetti terzi, che non siano banche, delle proposte di credito o finanziamento di gran lunga più competitive. Alle banche rimarrà il credito alle imprese perché sono molto meno prevedibili delle persone fisiche”. Tutto questo arriverà anche in Italia dove però persistono due fattori di criticità: la mancanza di computer literacy (alfabetizzazione) e una diffidenza iniziale da parte degli utenti”.

Banca d’Italia: l’opinione di Visco sul fintech

Anche il governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, si è occupato del fintech durante nelle sue considerazioni finali. L’industria finanziaria internazionale è interessata da un vasto processo di trasformazione – ha affermato Visco -. Dalla fine dello scorso decennio il ruolo delle banche nel finanziamento dell’economia si è progressivamente ridotto. È aumentato il peso del mercato dei capitali e di operatori non bancari che svolgono alcune funzioni tipiche della tradizionale intermediazione creditizia. La consistenza delle obbligazioni collocate sui mercati internazionali dai gruppi non finanziari è più che raddoppiata negli ultimi dieci anni, raggiungendo nel 2017 i 6.500  miliardi di dollari. Alla fine del 2016 le attività degli intermediari non bancari erano pari a 160.000 miliardi di dollari, quasi la metà di quelle detenute dal complesso degli intermediari finanziari. Il rapido sviluppo della tecnologia sta aprendo i mercati del credito e dell’intermediazione alla concorrenza di nuovi operatori, sia nelle economie avanzate sia nei paesi emergenti. Già oggi numerose imprese fintech offrono servizi innovativi e a basso costo nel comparto dei pagamenti elettronici, nella gestione del risparmio e nell’intermediazione mobiliare. Le maggiori imprese tecnologiche internazionali stanno inoltre facendo ingresso nel mondo del credito e della finanza.

L’esperienza mostra che un settore finanziario diversificato, caratterizzato dalla presenza di molteplici canali di finanziamento e di operatori di diversa natura, può favorire gli investimenti e la crescita, può aumentare la resistenza dell’economia a eventi avversi. Negli Stati Uniti le imprese hanno reagito alle restrizioni del credito bancario causate dalla crisi finanziaria sostituendolo  con emissioni obbligazionarie; severità e durata della recessione ne sono  risultate attenuate.

Ma lo sviluppo dell’intermediazione non bancaria, se non adeguatamente controllato, può anche costituire una fonte di rischio. Le strategie dei gestori di fondi di grandi dimensioni possono avere impatti rilevanti sui prezzi e sulla  liquidità degli strumenti oggetto di investimento. La diffusione di transazioni automatizzate ad alta frequenza può dare luogo ad aumenti repentini della volatilità dei corsi dei titoli, soprattutto qualora diversi intermediari reagiscano in maniera simile ai movimenti di mercato. Anche le interconnessioni indirette tra le banche e gli altri intermediari costituiscono potenziali fattori di rischio”.

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