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Come le fintech stanno cambiando la prospettiva delle banche

Il tema fintech agita le banche. Lo spiega bene il Financial Times, che oltre a descrivere la vivacità delle startup presenti a Dublino, quotidianamente racconta dei timori che si fanno largo fra i banchieri. Oltre alle capacità innovative, di mezzo c’è anche la Payment Services Directive 2, che sarà implementata progressivamente nei prossimi mesi.

Come segnala Mario Seminerio su PhastidioL’essenza della direttiva è quella di imporre alle banche di consentire a terze parti, siano esse società tecnologiche, operanti nel commercio al dettaglio o altri prestatori, l’accesso ai conti di qualsiasi cliente che abbia dato la propria autorizzazione. Le terze parti avranno quindi accesso a una miniera di informazioni e potranno offrire servizi di pagamento diretto, oltre che credito, usando il conto corrente come una sorta di infrastruttura di rete”.

A questo si aggiunge l’aggressiva attività di nomi come Amazon, che ha iniziato a fornire servizi di pagamento e prestiti ai merchant che vendono sulla sua piattaforma, e di Alibaba e Tencent con i loro sistema di pagamenti domestico. E poi dall’ottobre ottobre del 2016, l’Irlanda ha aggiunto alla lista di imprese autorizzate a fornire servizi di pagamento elettronico anche Facebook Payments International Ltd.

Il Fintech in Italia

La preoccupazione internazionale e la vivacità di Dublino sono invece un po’ stemperati in Italia dove la Banca d’Italia ha svolto un’indagine secondo la quale “Il grado di coinvolgimento del sistema finanziario italiano, soprattutto delle banche di grande dimensione, sembra essere a prima vista intenso, poiché circa i tre quarti degli intermediari prevede di effettuare almeno nel lungo termine investimenti in tecnologie e servizi Fintech”.

Tuttavia il numero relativamente elevato delle iniziative contrasta con l’esiguità degli importi stanziati, complessivamente pari a poco meno di 135 milioni di euro per il 2016 e prevalentemente concentrati sulle banche significant institutions che hanno effettuato il 92% degli investimenti totali.

La maggior parte dei progetti rientra nella categoria Tecnologie per contratti e operazioni a distanza. Si tratta del di 71 progetti, pari a poco più del 25% del totale. Si tratta di iniziative per la gestione dell’identità elettronica e/o per il riconoscimento a distanza del cliente utilizzati per la sottoscrizione di servizi finanziari; in questo ambito sono presenti anche le attività di integrazione con il Sistema pubblico per l’identità digitale. Il 23% fa parte delle Tecnologie a supporto (Big Data, Intelligenza artificiale, Cloud computing, Open Api – Application programming interface e Iot), mentre un altro 23% comprende i Servizi di pagamento, il 16% Servizi automatizzati per il cliente limitandoci ai gruppi più numerosi.

Le conclusioni dello studio dicono che il sistema finanziario italiano è certamente interessato Fintech, ma ancora poco propenso ad investire risorse adeguate per modificare radicalmente il proprio modello imprenditoriale. Al momento il settore che sembra aver catalizzato l’attenzione di tutti gli intermediari è quello delle tecnologie per la conclusione di contratti e la realizzazione delle operazioni a distanza, ritenuto indispensabile per alleggerire la rete degli sportelli e contestualmente raggiungere nuove fasce di clienti.

La gran parte delle banche coinvolte, seppure con intensità diversa, ha iniziato a sviluppare in proprio o a collaborare con fornitori, ma risulta ancora complessivamente limitato lo sfruttamento di possibili sinergie con imprese Fintech, anche all’interno di incubatori o acceleratori. Lo sviluppo prevalentemente in house dei progetti dimostra la limitata sinergia attualmente esistente con le imprese Fintech.

I modesti investimenti rilevati originano da una combinazione di fattori riconducibili ai problemi di sicurezza informatica, alla complessa integrazione con le infrastrutture informatiche preesistenti, alla difficoltà di adeguare gli assetti organizzativi e i processi operativi consolidati.

E inquanto al ruolo degli Ott, la Banca d’Italia sottolinea quanto la minaccia di sottrarre ampie quote di mercato (offrendo servizi specializzati su specifiche parti della catena del valore delle attività finanziarie in modo più semplice, economico e trasparente rispetto a quanto finora fatto dall’industria dei servizi finanziari) può essere fondata, poiché le grandi imprese Ott sono motori dell’innovazione, dispongono di enormi liquidità, hanno costi operativi esigui, esercitano un’indiscutibile attrazione sui consumatori più ricettivi: pur partendo da una posizione privilegiata, gli intermediari potrebbero perdere progressivamente centralità nel sistema finanziario.

 

 

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