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Fashion, la filiera cerca l’integrazione

Se passate per un punto vendita delle grandi catene di abbigliamento pensate che in fondo si tratta di prodotti di massa? O al contrario, nel caso di qualche brand di lusso pensate all’artigianalità del Made in Italy? In entrambi casi dovreste riconsiderare la vostra opinione: che si tratti del cosiddetto fast fashion come dei grandi brand del lusso, la filiera produttiva delle aziende della moda è una delle più complesse.

Deve mettere insieme creatività e produzione, agendo velocemente e contemporaneamente sul mercato mondiale. E il pubblico dei suoi consumatori è spesso uno dei più digitalizzati e attenti al concetto di user experience. Insomma, il gioco è tutt’altro che facile e si sta complicando ulteriormente per la maggiore reattività che viene richiesta in tutti i settori.

Per capire la complessità dello scenario basta guardare al processo produttivo-logistico della gran parte delle aziende del fashion. Una collezione va pianificata, ideata creativamente e disegnata, poi i materiali ideali per produrla vanno rintracciati sul mercato e la collezione viene finalmente man mano realizzata. A questo punto entrano in gioco gli aspetti di logistica e di rapporto con i fornitori, come ovviamente anche quelli di fornitura dei punti vendita fisici ed online, di marketing e – oggi in particolar modo – di tutto quello che concerne il rapporto con la clientela (supporto, relazione diretta, relazione via canali social).

Idealmente tutto questo dovrebbe essere anche integrato, perché sempre più per molte aziende l’input su come far evolvere le proprie collezioni viene dall’analisi dei trend di acquisto e dagli interessi dei consumatori.

L’integrazione che manca

Storicamente le aziende del fashion hanno saputo lavorare bene nella parte di sviluppo prodotto ma meno nella gestione del ciclo di vita del prodotto nel suo complesso. È soprattutto la prima parte del processo, quella ideativo-creativa, che nella media delle imprese è poco “formalizzata” – anche per la sua stessa natura – e quindi è spesso difficile tenerne traccia in modo da potere, poi, recuperare e rielaborare le informazioni collegate (la ragione di quel particolare materiale usato, il dettaglio di quella specifica lavorazione in fase di creazione dei modelli e via dicendo).

Oggi invece poter sfruttare qualsiasi competenza si sia sviluppata nella ideazione e della produzione diventa un possibile fattore di vantaggio competitivo, quantomeno perché reinventare qualcosa che magari si era già ideato (in parte) richiede tempo prezioso.

3dexcite-fashionPassando all’esterno dell’azienda, molte imprese del fashion hanno avuto problemi nel condividere le informazioni con i loro fornitori, anche perché questi erano spesso meno tecnologicamente evoluti del loro committente. È la stessa problematica che si è vista in altri settori come la meccanica o l’elettronica, in cui la spinta all’evoluzione tecnologica dei terzisti è venuta dalla necessità di stare al passo con chi dava loro lavoro. Non era un grande problema dal punto di vista della capacità di un’impresa di stare sul mercato, oggi può diventarlo.

La tendenza tra le aziende del fashion ad approcciare il tema di una filiera sempre più integrata all’interno e all’esterno dell’impresa non nasce tanto dall’idea astratta che in questo modo si ottimizzi il processo che va dall’idea iniziale alla vendita. Deriva piuttosto dalla necessità di reagire velocemente a un mercato in cui produzione e vendita sono attività globali (si produce ovunque per vendere ovunque, praticamente senza nemmeno più stagionalità). E in cui le indicazioni che vengono dalla clientela vanno tradotte in prodotti e se possibile anche in personalizzazioni.

Obiettivo agilità per il fashion

Anche nel fashion quindi i temi della lean production stanno prendendo piede a vari livelli. L’obiettivo è arrivare a processi produttivi agili perché questi sono più facili da modificare velocemente in caso di necessità, ad esempio cambiando il luogo di produzione di un determinato prodotto o la gestione dei materiali per un certo mercato. Va poi considerato che in un momento in cui la competizione sul prezzo – almeno nella maggioranza dei casi – è a grana finissima è necessario sfruttare la tecnologia per controllare e ottimizzare la produzione, velocizzando tutto il time-to-market dei nuovi prodotti. Il che serve ancora una volta per andare maggiormente incontro al mantra delle richieste espresse dal mercato.

A questo punto i temi del SCM e del PLM in parte si uniscono, con l’ovvio limite che non esiste una piattaforma talmente strutturata da fare tutto da sola e l’elemento della system integration resta ancora molto rilevante. Il fashion tra l’altro è un settore che può adottare applicazioni standardizzate solo fino a un certo punto, proprio perché l’ambito dei processi da seguire è molto ampio e la filiera di solito molto articolata. Come lo è anche la parte terminale (la vendita), che si declina ormai certamente nel mondo fisico e in quello virtuale, con la necessità di mantenere margini coerenti fra di loro.

CheckPoint_Rfid_FashionUna maggiore integrazione con i propri partner di filiera viene considerata da molti osservatori e attori del mercato anche come una strada per rafforzarsi. Il rapporto tra azienda leader e fornitori non è più solo quello del controllo come nel classico approccio alla gestione della supply chain fashion ma punta a una fidelizzazione, attraverso una condivisione delle informazioni che vuole rendere tutti più forti.

Il nodo delle soluzioni

In estrema sintesi, è come la parte “gestionale” dell’azienda non fosse solo il punto di controllo dei costi, dei ricavi e delle marginalità ma si aprisse (anche letteralmente) all’esterno per coinvolgere tutti in una gestione estesa orientata allo sviluppo. Per un settore in cui molte imprese vedono ancora la gestione economica, lo sviluppo prodotto e la supply chain come mondi solo parzialmente sovrapposti, non è una evoluzione da poco.

Dal punto di vista tecnologico questo significa anche che gli investimenti con maggiore valore aggiunto diventano quelli nelle piattaforme che garantiscono apertura, armonizzazione delle informazioni e ovviamente – come ormai in tutti i settori – capacità di gestire e analizzare grandi moli di informazioni.

Non sono scelte di investimento facili perché le grandi software house hanno certamente approcciato il mondo fashion ma guardando soprattutto alla fine della filiera (e-commerce, retail, omnichannel). Il “matrimonio” tra la parte ERP/SCM e quella PLM/PDM resta un tema difficile, peraltro non solo per gli utenti del campo fashion ma per tutte le imprese che abbiano una componente creativa e una gestionale.

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