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Biomateriali per il fashion: la promessa delle proteine

Una fetta del futuro del fashion dipende dai biomateriali e dai ragni. Messo così sembra uno sviluppo inquietante ma è un concetto vicino alla verità: una delle direttrici di sviluppo nella ricerca di nuovi materiali tessili è legata proprio ai biomateriali e in questo molti ricercatori hanno preso spunto dalla capacità dei ragni di tessere tele resistenti, flessibili e – perché no – esteticamente interessanti.

Da qui l’idea di capirci di più e, oggi, quella di usare le proteine come componenti di base di nuovi tessuti.

Siamo, va detto, ancora allo stadio di prototipi o quasi. Ma una volta anche i prototipi sarebbero sembrati una pura fantasia e la ricerca sui biomateriali andava in direzioni più tradizionali e nettamente diverse.

L’esigenza di usare materie prime con un impatto ambientale sempre più basso è un dato di fatto, legato a esigenze concrete e d’immagine. Si puntava – e si punta ancora, peraltro – però a riscoprire vecchie lavorazioni con materiali vegetali, a studiarne di nuove e comunque alla materia prima che la natura fornisce.

Il Moon Parka di Spiber

I biomateriali basati sulla sintesi delle proteine non sono invece prodotti naturali. O non del tutto. La produzione in sé è un processo naturale: una fermentazione in cui alcuni microbi, o banalmente lieviti, generano filamenti di proteine in forma liquida.

Da questo punto di vista non siamo molto lontani dai processi naturali di fermentazione alimentare, solo che il risultato viene poi trattato per ottenere filati.

Quello che non è propriamente naturale è il punto di partenza: ai microbi o ai lieviti viene dato il compito di produrre proteine progettate in modo specifico per le loro proprietà fisiche. E qui entrano in gioco i ragni.

Le aziende che stanno lavorando alla sintesi di queste proteine sono partite esaminando la composizione della tela di ragno e hanno cercato la combinazione di aminoacidi che rendesse al meglio le sue proprietà potenziali.

Una scelta naturale, visto che parliamo di un materiale tra i più resistenti in natura che però viene paragonato alla seta per la sua leggerezza.

Le cravatte in Boltspun di Bolt Threads

Come sta capitando in molti settori tecnologici, è stata l’evoluzione parallela di molte tecniche che ha permesso alla ricerca sui biomateriali di passare dalla teoria alla pratica e poi a una pratica anche a costi commercialmente sensati. Oggi è effettivamente possibile progettare proteine “a tavolino” e arrivare a produrle in modo tale che i filati che ne derivano non abbiano costi spropositati. La produzione di massa è lontana, ma se volete un prototipo di parka rivestito in fibro-proteine “da ragno” quello c’è da tempo. Le cravatte invece sono una conquista più recente.

Sono solo primi passi di uno sviluppo che comunque va avanti. Le aziende non fanno grande fatica a trovare fondi per le proprie ricerche perché le esigenze sono reali. L’industria tessile è comunque considerata come fortemente inquinante e meno attenta di quanto dovrebbe ai temi della sostenibilità e del riciclo dei materiali. E la genetica promette di portarci alla progettazione di biomateriali sempre più sofisticati.

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