Fare chiarezza sul concetto di distretti hi tech

Idc critica la mancanza di obiettivi e la confusione in atto sul rapporto tra stato e regioni

Il fenomeno dei distretti tecnologici italiani, secondo Gabriella Cattaneo, director, Expertise Center Competitiveness & Innovation Policies & Strategies di Idc Italia, racchiude in sé diverse iniziative che si dichiarano “distretto tecnologico”, ma che poco corrispondono, in realtà, al concetto originario definito dal Miur. La preoccupazione dell’analista di Idc, pur vedendo assolutamente con favore la moltiplicazione delle esperienze per l’innovazione sul territorio, è che alcune di esse cerchino di salire sul treno dei “distretti” anche se in reltà di distretti non si tratta, per il solo fatto che ci siano a disposizione dei fondi. «L’intenzione della promozione e innovazione tecnologica sul territorio, e del rapporto università/impresa è senza dubbio giusta – ha detto Cattaneo – ma la realizzazione che si sta attuando attraverso la mediazione delle regioni, le quali interpretano il concetto di distretto tecnologico nei modi più disparati, rischia di portare a uno sbilanciamento nella creazione delle nuove alleanze pubblico/privato, alcune delle quali saranno molto efficaci e altre meno».


Non è sufficiente, quindi, mettere l’etichetta di distretto tecnologico, ma nel momento in cui il modello scelto dall’ente locale si discosti dalla definizione del Miur, è necessario che venga dichiarato e che vengano illustrati gli obiettivi che l’iniziativa si pone di raggiungere unitamente a un sistema attraverso il quale si possano misurare i risultati conseguiti.


L’opinione di Cattaneo è che, indipendentemente dal modello teorico scientifico scelto, sia si tratti di distretti o meno o si opti per la mono o multisettorialità, il fatto è che negli ultimi due o tre anni, in nome dell’innovazione, sul territorio nazionale sono state finanziate a pioggia innumerevoli quantità di iniziative locali. «Sono troppe – ha detto Cattaneo – e realizzate in un’ottica troppo dispersiva, senza sufficienti criteri di selezione o verifica. La mia sensazione, soprattutto guardando il Pico (Piano per l’innovazione la competitività e l’occupazione, ndr), alla voce distretti tecnologici si può constatare che il Miur sta chiedendo un finanziamento di circa 400 milioni di euro, e che si sia finanziato l’avvio di queste esperienze senza la certezza di poterne garantire la continuazione».


Ciò che emerge dalle considerazioni di Cattaneo, è in sostanza una critica sull’implementazione, sull’attribuzione e distribuzione dei fondi da parte del Miur e, soprattutto, sulla mancanza di obiettivi dichiarati e di criteri con cui poter misurare progressi e risultati, misure sulla base delle quali sarebbe possibile decidere se incrementare oppure sospendere l’erogazione dei finanziamenti. «La verità– ha spiegato Cattaneo – è che tutto è in mano alle regioni e finché persisterà l’attuale confusione sul rapporto stato/regioni, sarà complicato uscire da questo empasse».


Anche Cattaneo, come De Maio, è convinta che, soprattutto in un paese estremamente frammentato come il nostro, è scarsamente probabile che iniziative come quelle dei distretti tecnologici possano nascere dall’alto, ma trovano terreno fertile solo in un approccio di tipo bottom-up.


«È inutile – ha spiegato l’analista di Idc – pensare di poter diventare all’improvviso dei grandi pianificatori dall’alto, come ad esempio la Francia, che dopo aver riscontrato la propria mancanza di competitività, ha messo a punto e lanciato il grande piano per la ricerca e l’innovazione industriale. Nell’arco di un anno hanno fatto un piano strategico, si sono consultati con l’industria, hanno stabilito cosa fare e dove farlo sul territorio, e realizzato un megadistretto Ict. Non è necessariamente detto che riescano a ottenere i risultati che si sono prefissi, ma quello che conta è che hanno messo a punto una strategia e l’hanno finanziata».

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