Esistono mercati buoni e cattivi? Solo aziende incapaci di affrontarli

Da due esperti di marketing, Aldo Viapiana e Mauro Chiarlo, arrivano i consigli per aumentare le vendite delle nostre imprese anche durante la crisi

Ascoltando gli esperti di marketing, torna in mente il vecchio motto dell’alpinista Cesare Maestri, “non esistono montagne impossibili ma solo uomini che non sono capaci di salirle”. Erano gli anni 70 e Maestri ripensava al Cerro Torre in Patagonia. Allo stesso modo, hanno spiegato due consulenti di marketing aziendale in un recente seminario di Assolombarda, Aldo Viapiana e Mauro Chiarlo, “non esistono mercati buoni o cattivi ma solo aziende che non sono capaci di affrontarli”. Senza scomodare situazioni paradossali come vendere frigoriferi agli eschimesi (anche se c’è una ditta nel settore del legno che è riuscita a esportare semilavorati di pioppo in Svezia), il problema è come aumentare il fatturato anche durante la crisi.

Gli imprenditori italiani staranno al passo dei cambiamenti sui mercati internazionali? Il punto di partenza, affermano Viapiana e Chiarlo, è l’analisi attenta della domanda. In altri termini, bisogna ricordarsi che sono le aziende (l’offerta) a condizionare la domanda di beni e servizi, non solo con la leva del prezzo come sconti e promozioni, ma anche con altri elementi tra cui l’identità della marca, il lancio di nuovi prodotti, gli investimenti in ricerca e sviluppo. È sbagliato pensare che i clienti correranno di nuovo nei negozi e nei supermercati perché prima o dopo la crisi finirà e i consumi riprenderanno vigore. È sbagliato soprattutto in un Paese come l’Italia, dove il mercato interno è destinato a ristagnare ancora a lungo.

Questa crisi, secondo Viapiana e Chiarlo, non è un’eclissi, temporanea per definizione. Quanto durerà l’oscuramento dell’economia mondiale? Conviene concentrarsi sugli obiettivi per incrementare le vendite anche quando le vacche sono magre. Tutto passa da un piano commerciale minuzioso: qual è il mio mercato, quali sono i punti di forza e debolezza della mia impresa e di quelle rivali, se ci sono nicchie per nuovi prodotti, come ridefinire l’identità del marchio e comunicare i suoi valori ai clienti. Bisogna cogliere i segnali d’allarme. Vendite che ristagnano da oltre un anno, quota dell’export inferiore al 30% del fatturato totale, volume d’affari superato da quello dei principali concorrenti, scarse informazioni sui Paesi di riferimento: con uno o più di questi campanelli, dobbiamo preoccuparci per il futuro della nostra azienda.

Tornando ai semilavorati di pioppo esportati in Svezia, l’impresa in questione, spiegano Viapiana e Chiarlo, partiva da un vicolo che sembrava cieco. Fatturato in perdita del 10% da un anno all’altro, export fermo al 10% sulle vendite totali e una diffusa incapacità di lanciare un piano commerciale con qualche idea fuori del solito coro. Dopo una cura di 14 mesi, tuttavia, l’azienda si è lanciata in nuovi mercati (appunto la Svezia, oltre a vari Paesi dell’Europa settentrionale) e in settori produttivi prima sconosciuti, come porte e parquet. L’export è salito al 33% del fatturato complessivo, che a sua volta ha ripreso a crescere (+10%).
Il marketing può servire a ricollocare i prodotti in diverse fasce di mercato, come accaduto a un noto marchio dolciario che confeziona “lievitati da ricorrenza”, cioè pandori e panettoni. Entrando nella fascia premium e aumentando i prezzi, è riuscito a passare da zero a +8% nell’export e arrestare l’emorragia di vendite.

C’è poi l’impresa che ha iniziato a produrre arredamento di design, affiancando il suo business tradizionale (elementi per gli interni delle automobili) e acquisendo in due anni, tramite il canale web, mille nuovi clienti  che in media hanno speso 250 euro a testa. Non saranno quei 250mila euro a far decollare i conti, ma sono il primo passo per creare un’identità di marca in un settore di nicchia, con una propria rete distributiva, passando dal ruolo di subfornitore a quello di marchio indipendente. Le strategie si complicano quando bisogna considerare altre variabili: l’industria delle fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, per esempio, è molto condizionata dalle politiche energetiche dei vari governi e dall’entità degli incentivi. Lo stesso vale per l’edilizia. I consigli tratti dall’esperienza di Viapiana e Chiarlo potrebbero continuare; quel che è certo, è che pensando solo ai mercati buoni e cattivi, si rischia davvero di rimanere al palo.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome