Equo compenso: cosa cambia per tablet e smartphone?

Aggiornate le tariffe della tassa per la copia privata, che riguarda tutti i dispositivi elettronici dotati di memoria. Se prima si pagava fra 90 centesimi e 1,90 euro per smartphone e tablet, adesso si dovrebbero versare da 3 a 4,80 euro.

La stangata sui dispositivi e sui supporti per la memorizzazione dei dati è arrivata. Il ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini ha firmato il decreto che prevede l’aggiornamento delle tariffe del cosiddetto equo compenso per la copia privata.
Quella
è che una vera e propria tassa diventa così più “pesante” imponendo il
versamento di un obolo più importante a tutti coloro che acquistano
supporti CD e DVD, chiavetta USB, hard disk, dischi SSD, smartphone,
tablet e personal computer.

Si chiama “equo compenso” la tassa
che viene imposta ai produttori ed agli importatori di prodotti
elettronici finalizzati alla riproduzione o alla registrazione di
contenuti digitali come indennizzo sull’utilizzo e la copia privata delle opere protette da diritto d’autore.
Le
disposizioni sull’equo compenso, introdotte alla fine del 2009 dal
Ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi, sono state più
volte oggetto di accese polemiche. Motivo del contendere? Chi
acquista un DVD masterizzabile, ad esempio, non è detto che lo faccia
per salvarvi la copia privata di un’opera protetta dalle norme sul
diritto d’autore
. L’altro punto più volte criticato è
l’esenzione dal pagamento dell’equo compenso per professionisti ed
imprese: non avendo titolo, queste figure, per effettuare la cosiddetta
“copia privata” perché debbono ugualmente essere assoggettate al
versamento della tassa?

Così, se prima si pagavano fra 90
centesimi ed 1,90 euro per smartphone e tablet, adesso si verserebbero
da un minimo 3 euro ad un massimo di 4,80 euro. Aumenti dei quali non si
faranno carico i produttori ed i distributori dei dispositivi perché la differenza sarà automaticamente corrisposta dai consumatori al momento dell’acquisto.

Partendo
dal presupposto che la normativa impone al governo ad aggiornare le
tariffe dell’equo compenso a cadenza triennale, va evidenziato che non
vi è alcun obbligo di rivedere gli importi al rialzo. Tanto più che la ricerca
di mercato commissionato dall’ex ministro Massimo Bray ben rimarcava
come neanche il 10% degli italiani adoperasse i dispositivi elettronici
ed i supporti di memorizzazione acquistati per effettuare la copia
privata di opere protette dal diritto d’autore
.

Scrive, a tal proposito, l’avvocato Guido Scorza,
uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche
connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione, sul suo blog: “è
curioso, al riguardo, osservare che la ricerca in questione, dopo
essere stata, per qualche giorno, pubblicata sul sito del Ministero dei
Beni e delle Attività culturali nella sezione nella quale secondo lo
stesso Mibac sarebbe “pubblicata la documentazione esaminata ai fini
dell’aggiornamento dell’equo compenso”, oggi non vi compare più. Un
errore provvidenziale o un puerile tentativo di nascondere agli occhi
dei curiosi una scomoda verità? [per chi fosse interessato il testo della
ricerca è disponibile qui]
“.

Sta sollevando un polverone anche il comunicato che è stato diffuso dall’ufficio del ministro Franceschini che paragona
gli importi dell’equo compenso italiano non con la media europea bensì
con le tariffe applicate in Francia e Germania ovvero gli unici due
Paesi ove la tassa è ancor più pesante
.

Per accorgersi
di come stiano realmente le cose, basta consultare il rapporto 2012
sulla copia privata elaborato dalla “World Intellectual Property
Organization”. I dati mostrano inequivocabilmente come l’Italia sia la
nazione europea ove, a titolo di equo compenso, è stato raccolto
l’importo maggiore; una performance seconda soltanto a quella della
Francia.

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