Epm, le aziende italiane sopra la media

Le nostre imprese sono brave nella capacità di analisi, ma deboli nel business planning. L’analisi di Quocirca sul livello di integrazione tra processi gestionali e sistemi informativi.

Oracle ha commissionato alla società di analisi Quocirca la realizzazione del primo Enterprise Performance Management (Epm) Index, uno studio che fa il punto sulla capacità che hanno le imprese europee e nordamericane di unire processi gestionali e sistemi informativi in modo da ricavare una visione consolidata della propria attività. Il loro traguardo ideale, secondo Oracle, deve essere la management excellence, quel rapporto che mette in relazione la variabile tempo con il vantaggio competitivo.

Su una scala da 0 a 10, il punteggio medio ottenuto dalle imprese analizzate è stato di 5,13, sotto la media dell’eccellenza (oltre il 7) e sopra quella dell’insufficienza (sotto il 4). Siamo quindi nel limbo dell’accettabilità.

Per realizzare l’indice, Quocirca ha intervistato fra gennaio e febbraio 800 Cfo e Ceo di aziende europee e nord americane, di cui 100 italiani. Fra settembre e ottobre procederà a una seconda rilevazione, con cui fare il confronto.

Agli intervistati è stato chiesto di assegnare un punteggio alle rispettive aziende sulla base dei processi e della precisione delle informazioni disponibili in sei aree, che Oracle ha tratto dalla catena di creazione del valore aziendale ideata da Michael Porter nel 1985.

Un framework datato, quindi, ma ancora più che valido. Secondo Claudio Bastia, Country Leader Oracle Epm/Bi di Oracle Italia: “è il modello su cui discutere di competitività”.

Secondo il modello porteriano adattato, i sei processi che, se ottimizzati, consentono a un’azienda di passare dalla operational excellence (il semplice saper fare) alla management excellence (il saper anticipare, adattare e diffondere) sono:

  • il contesto degli stakeholder,
  • il modello di mercato,
  • il modello di business,
  • il business plan,
  • le attività
  • i risultati di business.

A ognuno di questi elementi Cfo e Ceo hanno dato un punteggio, autovalutandosi.

Le aziende italiane hanno ottenuto un punteggio medio superiore alla media (5,25) dopo la Francia, ma il profilo dei punteggi fra i sei sottoindici dei processi varia dal 5,8 per il modello di business al 4,3 per il business plan, che risulta quindi essere il nervo scoperto delle nostre aziende, al limite dell’insufficienza.

Buona capacità di analisi, deboli nel business planning
In sintesi, siamo bravi a fare redazione di report sulla sostenibilità, comunicazione con gli stakeholder esterni, abbiamo una buona visibilità della profittabilità e capacità di analisi dello scenario; siamo deboli nel business planning, i riconoscimenti non sono sufficientemente basati sulle performance, c’è scarso collegamento tra obiettivi strategici e budget e pianificazione e in alcuni casi poca coerenza tra obiettivi personali e aziendali. Ma anche gli altri paesi vivono le loro differenze.

Tutto ciò significa che, in generale, l’esecuzione di ciascun processo tende ad avvenire in maniera separata, mentre le imprese, secondo Oracle, dovrebbero cercare di analizzare il proprio livello di Enterprise performance management attraverso tutti i sei processi, con una vista corale e correlata.

Per Bastia, “si riconosce l’importanza dei processi ma non si coglie ancora quella delle connessioni nella intera catena del valore”. Manca ancora il governo del flusso per la ricerca della competitività. Esistono positive eccezioni, però.
A titolo di esempio Bastia ricorda come Fiat stia facendo un’analisi di competitività “profondissima”, di avanguardia, con cui sulla base delle analisi di tutta la catena del valore sta decidendo il riacquisto di parte della rete vendita.

L’Italia, dunque, ha registrato i punteggi maggiori per quanto riguarda i processi relativi al modello e ai risultati di Business, da che si deduce che esiste una buona comprensione delle condizioni del mercato e una buona capacità di capire le performance correnti. Allo stesso modo sono accettabili i punteggi nei processi che riguardano la comprensione degli stakeholder e il modello di mercato. Si può dire, quindi, che per quanto riguarda le attività verso l’esterno le società italiane hanno un rendimento di livello europeo.

Se si deve parlare di business plan, invece, lo studio evidenzia criticità come una moderata tendenza all’implementazione di intelligence competitiva. In fatto di compensi basati sulle performance, definizione degli obiettivi, flessibilità nel budget, collegamento tra le valutazioni di rischi e performance sono tutti elementi del processo di business plan nei quali le imprese italiane hanno ottenuto risultati inferiori agli altri Paesi.

Perché ci dichiariamo così deboli in fatto di business plan?

Per Bastia, quando la strategia da esterna diventa interna, si è più propensi a riconoscere i fattori limitanti, come l’uso del foglio elettronico in vece di strumento di intelligence.

Si può dire, quindi, che i Cfo conoscano i propri punti deboli. E anche che “è un ottimo punto di partenza per migliorare ed evolvere verso la management excellence”.

Come sintesi, Bastia indica che la management excellence come obiettivo esiste. C’è un framework, un modello che dice come raggiungerla, e ora c’è un indice che sa dirci a che punto siamo del cammino.
E poi c’è Oracle, che con le proprie soluzioni di performance management aderisce al modello proposto e consente di far raggiungere la management excellence.

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