Enuma elish: c’era una volta il sistema operativo

Il cloud computing risolve la torre di Babele dei sistemi operativi. Come lo fa? Con l’interoperabilità, parola di Shank e Paoli (Microsoft). Ma una “nuvola” esclude l’altra?

La nuova ondata dell’ICT è il Cloud computing, recentemente rilanciato dall’entrata in produzione di Microsoft Azure. Per chi non fosse così addentro, il cloud è una soluzione a consumo che esegue in modo efficiente applicazioni esistenti e nuove, in caso di necessità permette di acquistare potenza di calcolo al dettaglio e lascia aperte le porte a futuri sviluppi specifici. La cloud esegue applicazioni e quindi, in estrema sintesi, è quello che per decenni abbiamo chiamato sistema operativo.
Contemporaneamente a questo passo l’azienda di Redmond sta svolgendo una paziente opera di comunicazione a tutti i livelli per avvalorare il suo impegno in senso aperto e non bloccato sulle soluzioni di casa. In quest’ottica va inquadrata la visita in Italia dei suoi general manager Craig Shank (Interoperability) e Jean Paoli (Interoperability Strategy). Jean, francese, è uno dei co-creatori dell’XML 1.0 nel W3C.
E’ da svariati anni che Microsoft ha iniziato un percorso verso l’interoperabilità e i sistemi aperti, “molto prima che iniziassimo a renderlo noto”, introduce Pier Paolo Boccadamo, Direttore delle
Strategie di Piattaforma di Microsoft Italia che già l’anno scorso, sempre insieme all’esperto Roberto Galoppini, aveva organizzato un analogo incontro dedicato al Php .
“Il mondo è cambiato, ovunque ci sono ambienti misti che richiedono interoperabilità”, dice Craig, “che fa bene al business dei nostri clienti e anche al nostro”.
Enuma Elis, mi si perdoni la translitterazione semplificata, è il nome (e l’inizio) del poema cosmogonico babilonese (sarebbe più preciso “accadico”) sulle origini del mondo: quelle due parole sono l’equivalente del nostro “c’era una volta”. Ecco spiegato -si fa per dire- il titolo dell’articolo, che ricordando quando c’era il sistema operativo porge il benvenuto alle cloud.

Efficienza, economia, dinamica

Nelle aziende di dimensioni medio-grandi l’esigenza principale è l’aggiornamento delle applicazioni esistenti alle attuali necessità di business. Orbene il cloud è spesso una soluzione reale e plug’n’play: “Durante la domenica del Superbowl, il principale evento sportivo statunitense, Domino’s Pizza riceve il 50% in più di ordini”, sorride Jean, “troppi per gestirli con i soliti server, ma la loro applicazione, scritta in Java/Apache/Tomcat ha funzionato su Azure senza nessun problema”.
Parlare d’interoperabilità sembra facile, ma le cose sono complesse e anche se esistono iniziative interessanti è difficile spiegarle con un rigoroso approccio top-down: ecco perché Paoli preferisce fare esempi. “Chi ha un iPhone si aspetta di ricevere le mail e leggere gli allegati”, esemplifica, “che per buona parte provengono da Microsoft Exchange, la cui documentazione d’interoperabilità è di 80 mila pagine: c’è molto lavoro da fare”, spiega.

Il principio di Paoli

Anche se al momento l’accento è sulle applicazioni esistenti e sulla loro eseguibilità diretta su Azure, l’espressione “cloud interoperability” include svariate possibilità e il primo che viene in mente è l’interoperabilità tra cloud diverse. Questo è un aspetto che al momento non viene trattato, né da Microsoft né da altri. Come se non bastasse il riferimento accadico, mi lancio in un altro gioco di parole, stavolta nella fisica atomica. “Due fermioni identici non possono occupare fisicamente lo stesso stato quantico”, enunciò nel 1925 il fisico austriaco Wolfgang Pauli, ricevendone il Nobel per la fisica e passando alla storia come “principio di esclusione di Pauli”.
Giocando con il cognome possiamo provare ad enunciare il principio di esclusione di Paoli: “oggi due cloud non possono occupare lo stesso spazio spazio aziendale”. E’ un gioco, certo, e Jean Paoli non l’ha enunciato. Ma sull’argomento cloud-to-cloud ha detto testualmente che “nei prossimi 3-4 anni succederanno cose interessanti”, come se nell’ICT 3 o 4 anni fossero bruscolini e espressioni come outsourcing o client-server fossero ancora di moda. Dei mainframe, mai morti, parleremo un’altra volta.

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