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Ecommerce B2B, un gioco che la la pena di giocare

Snobbato dalle imprese italiane, l’ecommerce in versione B2B può essere invece un‘importante fattore di crescita. Per questo Assolombarda e Netcomm, il Consorzio per il commercio elettronico, hanno organizzato un incontro nella sede milanese dell’associazione degli industriali durante il quale è stato presentato anche “E-commerce B2B. Le opportunità, gli strumenti e i casi di successo nell’e-commerce B2B e B2Retail”, un libro che analizza il commercio elettronico fra le aziende e racconta i casi di successo.

In realtà qualcosa sembra si stia muovendo. Come ha spiegato Niccolò Zuffetti, marketing manager di Cribis oggi “sono circa quarantamila le aziende italiane che fanno ecommerce B2B con una crescita del 55% rispetto allo scorso anno. Di queste, circa il 25% risiede nel Sud e Isole, mentre la regione principale rimane la Lombardia seguita da Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Campania”. Il 38% delle aziende lavora nel commercio all’ingrosso, il 30% industria e altre aziende lavorano nei servizi. Si tratta nel 73% dei casi di aziende con meno di cinque dipendenti e il 7% con oltre venti dipendenti. Solo il 6% delle imprese era attiva prima del 1980 e se sommiamo quelle attive prima del Duemila siamo a meno del 30%. In pratica le aziende storiche che si affacciano su questo mondo sono poche. Le imprese che fanno import export sono solo il 9%, mentre quelle che hanno un sito in inglese sono il 30%. Secondo i dati di Cribis relativi ai pagamenti le aziende che praticano ecommerce hanno tempi di pagamento migliori e hanno una rischiosità media più bassa. Anche dall’Osservatorio della banca dati specializzata nelle informazioni creditizie si osserva che il confine tra il commercio elettronico fra le aziende e quello orientato ai consumatori è sempre più labile.

Ecommerce B2B e B2C, il confine evapora

Un‘opinione condivisa da Roberto Liscia, presidente di Netcomm, secondo il quale il digitale “sta comportando una forte pressione sui prezzi e sui margini che diminuiscono su tutta la filiera trasferendo valore al cliente, utente finale o azienda intermedia, che a parità di prezzo ha una maggiore scelta. Questo è un elemento fondamentale del perché la trasformazione digitale delle imprese non è un’opzione ma una esigenza di sopravvivenza strategica delle imprese”. Il cliente finale della catena è diventato mobile, crosss border e cross device e cross channel ed è anche un signore che la sua esperienza personale la vuole riscoprire nelle sue attività professionali. “Il b2b non è quindi solo efficienza ma anche riscoperta di comportamenti che necessariamente devono andaare incontro a una trasformazione comportamentale che sta già avvenendo”. La velocità delle filiere e la capacità di reagire tempestivamente alle esigenze dei clienti intermedi e finali è diventato un fattore determinante. Il digitale, aggiunge Liscia, ha dato un altro modo di pensare ai tempi e chi non si adegua perde opportunità e marginalità. Tutto ciò è conseguenza della smaterializzazione dei processi con la separazione dell’informazione dal trasferimento dei dati o delle merci che ha dato alle aziende la possibilità di nuove opportunità organizzative. In questo contesto le aziende sono portate a ripensare i loro modelli di business e si sta perdendo l’idea dei confini tra B2B e B2C che stanno diventando molto integrati. E i modelli sono in continua evoluzione spesso convergenti con focus su efficienza processi commerciali e sulla qualificazione del rapporto domanda-offerta. Il vino è un esempio con il venditore che non ha magazzino e i prodotti vengono consegnati anche direttamente dal produttore.
Dal punto di vista quantitativo, inoltre, in Europa il B2Bb è già più importante del B2C. In Uk il fatturato è di settecento miliardi, mentre in Italia siamo a venti. E le previsioni dicono che nel 2020 il 27% del totale delle transazioni B2B sarà digitale. Un gioco che vale la pena di giocare.

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