E-Government, e-Democracy

La Pa da sola non ce la fa. La cultura del cambiamento va sostenuta dalle medie imprese, ma con un inghippo: devono anche realizzarlo in pratica.

Se una volta la cultura era lettere e filosofia, oggi non è più così. Nel tempo, la scienza è diventata gestione delle informazioni digitali e chi se ne occupa deve essere motore dell’innovazione. Inizia con un pensiero di questo tipo la presentazione di Alfieri Voltan, presidente della Fondazione Siav Academy, dal sapido titolo “La responsabilità civile delle aziende per la promozione di una cultura dell’innovazione”.
L’evento “e-Government, e-Democracy”, il sesto proposto da Siav per l’Amministrazione digitale, ha registrato un successo davvero enorme, valutato in oltre 1.200 presenze nell’incantevole scenario di Villa Miani, a Roma. Certo hanno contribuito anche gli oratori in programma, tra i quali ricordiamo Mariella Guercio (Università di Urbino) per gli Standard di gestione dei documenti, Alessandro Palumbo (Comune di Milano) per l’impiego della Pec, Barbara Degani (Provincia di Padova) per la provincia dematerializzata, per concludere con Renzo Turatto (Ministero PA ed Innovazione) con il punto sul piano e-Gov 2012.

Pa motore Ict?
Tornando all’introduzione di Voltan, non si può più attendere che sia lo Stato, o un Ente internazionale, a far penetrare i benefici della rivoluzione culturale in atto. Oggi il motore dell’innovazione sociale deve essere il sostrato di aziende medie e medio-grandi, che con opere dirette, fondazioni o altre iniziative operino in concreto per semplificare e modernizzare la vita di noi tutti.
E’ un pensiero straordinariamente interessante, quello di Voltan, che “va ben oltre i convegni dedicati all’Ict”, ha detto Carlo Mochi Sismondi, presidente di Forum PA e moderatore dell’incontro. Altri punti hanno compendiato la situazione attuale nel contesto internazionale, dove la fine del colonialismo ha portato avanti Paesi prima distanti come la Cina e rende meno attiva la parte imperialista (Usa ed Europa) che si è dovuta far carico dei costi della crisi da lei stessa generata, perdendo gran parte della competitività finora acquisita.
Passando all’Italia il quadro peggiora, perché la Seconda Repubblica non ha ancora preso il via, impegnando la macchina burocratica in questioni che sono ben lontane dalle funzioni di guida e di controllo per rendere reale quella modernizzazione della Pa che sembra davvero condizione necessaria, ma non sufficiente, per riguadagnare competitività.
In quest’ottica s’inserisce il quadro di riferimento delle azioni sulla Pa Digitale nella sintesi di Pierluigi Ridolfi, professore dell’Università di Bologna ma con un percorso professionale in profondità sull’argomento. “Poche ma significative le novità del 2010”, ha esordito, partendo dal Cad (Codice dell’Amministrazione digitale) per arrivare alla Pec (Posta elettronica certificata).
Piuttosto strana la delega al Governo per l’aggiornamento del Cad, modificato in maniera traballante e in via di approvazione definitiva visto che la delega scadrà il 4 gennaio 2011. Punti che genereranno discussione sono la copia di documento informatico e per il disaster recovery la gestione dei “conservatori accreditati”.

Un esempio: la Pec
Per la Pec, invece, un plauso all’introduzione e una chiara disapprovazione alle polemiche, quasi sempre gratuite. E’ un chiaro esempio, la posta certificata, di servizio che potrebbe farsi volano ma per il quale la cinghia di trasmissione non è stata pensata bene. Anche qui infatti il lavoro da reintegrare non manca, a partire dalla mancanza assoluta di gestione degli allegati, che sono essenziali e anzi devono essere gestiti con tutti i passi del documentale (compresa la conservazione sostitutiva). Inoltre c’è scollamento totale tra imposizione della Pec agli oltre centomila protocolli della Pa italiana e l’assoluta mancanza di verifica nel backoffice, almeno a livello normativo.

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