È giunto il momento che anche il cloud converga

La frammentazione della nuvola e il suo isolamento sono i vincoli maggiori all’adozione d’un modello aperto per l’It di domani. Hp ha la soluzione. Ce la illustra Lorenzo Gonzales.

Negli ultimi anni l’avvento del paradigma del cloud computing ha catturato l’attenzione di tutti gli attori del sistema mondiale e sta via via penetrando nel sostrato aziendale.
In molti casi, però, viene trattato monoliticamente, come se si trattasse di un altro silo: però spesso l’It viene confinata nei silos.

L’obiettivo finale non può essere questo, bensì l’esatto contrario, ovvero la totale integrazione degli ambienti con un’agile progettazione e un semplice spostamento delle applicazioni da un ambiente all’altro.

La strategia di Hp per il ciclo di vita delle applicazioni aziendali è oggi integrata e convergente nel nome degli standard aperti.
Tra l’altro vede convivere It tradizionale, cloud privato, pubblico ed ibrido come ambienti di caratteristiche tecniche ed economiche diverse ma tra le quali le applicazioni e i servizi possono muoversi agilmente.

Ne abbiamo parlato con Lorenzo Gonzales, Innovation Senior Consultant di Hp. «Senza standard aperti i silos non si rompono – ha detto Gonzales – né si elimina la frammentazione del cloud: con queste attenzioni oggi possiamo accelerare l’approccio dei clienti al cloud».

Eliminando la frammentazione si accelera l’adozione dei nuovi paradigmi in modo naturale e non forzato. Hp ha recentemente commissionato a Coleman Parkes la ricerca The Future of Cloud Is Hybrid, dove l’ibridazione non si ferma al cloud ma comprende anche la coesistenza di It tradizionale. Il campione, rivolto ad aziende di oltre 500 dipendenti, annovera risposte di 550 manager di aziende, senza nessun italiano.

«Il 43% degli intervistati prevede un investimento nel cloud tra 0,5 e 1 milione di dollari all’anno da oggi al 2020 – dice Gonzales – il 10% andrà oltre il milione».

Convergenza dei modelli

Il business chiede agilità applicativa e la risposta di Hp è il Converged Cloud, che fa convivere senza problemi cloud privato, cloud gestito, cloud pubblico ed It tradizionale. Non è una cosa da poco.
Scelta, affidabilità e coerenza sono i macrorequisiti risolti da questo approccio. I clienti scelgono il servizio, ne verificano l’affidabilità e sfruttano la coerenza interna con i vari modelli.
L’elasticità possibile è estremamente avanzata.

Oggi il ciclo di vita delle applicazioni può richiedere un primo deployment su un modello (per esempio cloud pubblico) e una successiva migrazione su un altro modello (sempre per esempio, cloud privato). E’ questo l’obiettivo di una attuale gesione del ciclo di vita del software.

Il modello architetturale di Hp si basa su standard aperti ed è centrato su Open Stack, al cui sviluppo l’azienda partecipa attivamente. In questo modo la convergenza ingloba l’It tradizionale (eventualmente anche con provider esterni) ma compatibili con Open Stack.

Il Converged Cloud abilita scenari d’uso molto avanzati sulla distribuzione delle applicazioni, sulla protezione degli investimenti nel lungo termine e sull’effettiva governance dei processi.

La ricerca di Coleman e Parkes ci dice anche che è considerato essenziale il rapido sviluppo di applicazioni agili.
‘Su questo punto abbiamo da poco lanciato la versione 11.5 di Application Lifecycle Management –
spiega il consulente all’innovazione – che aggiunge specificità per distribuire applicazioni su diversi ambienti».

Non si tratta dunque di controllare il singolo silo, bensì di inserire il cloud nel modello di business senza trattarlo come una cosa a sé stante, superando lo stesso modello a silos.
L’approccio per le nuove applicazioni sembra chiaro e pronto a durare nel tempo.

Ma che si fa con le applicazioni esistenti? «L’It tradizionale in alcuni casi resterà in vita a lungo termine», conferma Gonzales.

Esistono tre possibilità: riscrivere l’applicazione, modificarla oppure lasciarla così com’è. «Noi raccomandiamo fortemente l’analisi del portafoglio applicativo esistente, operando su carichi e criticità – spiega il manager – alcune applicazioni rimarranno tradizionali, o perché vanno bene così, o perché stanno completando il loro ciclo di vita, oppure perché subiscono vincoli che rendono complessa la trasformazione», mentre laddove sia possibile ed economico si può operare la trasformazione nel mondo cloud.
C’è quindi l’agilità richiesta per non preoccuparsi più del parco applicativo vecchio e nuovo.

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