Donne e videogame: dov’è la barriera?

Si tratta di un mercato anora maschile sia dal lato dei clienti ma anche da quello degli sviluppatori. I risultati di un test

Qualcuno avvisi il mondo dei videogiochi che al mondo esistono anche le
donne. Il discorso è vecchio, lo sappiamo, ma sempre attuale. I videogiochi sono
ancora terreno maschile sia dal lato utenti sia dal lato
sviluppatori,
quelli che i videogiochi li creano.
La situazione appare tanto più strana se si pensa che
secondo eMarketer negli Stati Uniti la popolazione on line è al 51% femminile.
Blog, instant messaging e iPod hanno contribuito a fare crescere l’interesse
dell’universo femminile per le nuove tecnologie.E in Italia? Secondo i dati
dell’Aesvi, i produttori di videogame, addirittura il 40% dei videogiocatori è
donna. Un dato, però, sicuramente sovrastimato visto che prende in
considerazione solo i gamer sopra i 14 anni di età.



In effetti il mondo dei videogiochi continua a
mantenere una preponderante presenza maschile. Un problema che nasce nel dietro
le quinte del mercato visto che, secondo le stime dell’International game
developers association, l’88,5% degli sviluppatori di giochi è
uomo
. Non a caso a parte “The Sims” che ha ottenuto un grande successo anche fra le giocatrici (non a caso è un gioco completamente diverso dagli altri) i best seller Usa sono “Halo 2”, “Madden Nfl”, e
“Grand theft auto” , di certo non titoli per ragazzine. E per il futuro non è il caso di aspettarsi grandi cambiamenti. “E’ molto difficile avere rispetto – spiega Katelin Rosenburg, studentessa di nuove tecnologie in un college privato dell’Arizona intervistata durante la Austin game conference da news.com – Sono
l’unica ragazza del corso di design
e i compagni continuano a dirmi che le femmine non giocano con i videogame e che i ragazzi giocano con i loro amici non con le girlfriend”
.



Come dire che Katelin sta perdendo tempo e che se anche dovesse arrivare a lavorare nei videogiochi dovrà uniformarsi all’ideologia dominante. D’altronde quel giorno nel suo ufficio ci saranno comunque un sacco di uomini visto che come racconta Amanda Crispel, assistant program director for electronic game and interactive development al Champlain college di Burlington, solo 18 persone su 100 frequentano il suo programma.
L’industria però si sta ponendo il
problema

, sostiene la veterana della Game conference Sheri Graner Ray. “Come possiamo catturare questo mercato?”, “Quali sono le barriere che ci sono nei nostri giochi?”
sono le angosciose domande che rimbalzano da un ufficio marketing all’altro dei
maggiori produttori di videogame. E forse qualche risposta se la stanno dando.
Secondo Sheri Graner Rayon è il gioco in sé che frena le potenziali gamer
ma qualcos’altro che, per esempio, le impedisce di netrare in un negozio
e comprarsi un gioco.



Ray racconta di un esperimento effettuato durante una developer conference in Nuova Zelanda
Quando divise le 25 partecipanti della sua classe in cinque gruppi. Tutti si trovarono di fronte a pc con giochi come “Warcraft”, “Diablo” , “Halo” , “Half-life” e “Max Paine” . Si trattava di best seller eppure le ragazze che lavoravano nell’industria dei videogame non ci avevano mai giocato. Alla fine “Warcraft” fu il titolo preferito ma le
ragazze giocarono e si divertirono con tutti i titoli. Un test che all’esperta
sviluppatrice serve per dire che forse le barriere non stanno nei giochi
ma fuori
. D’altronde vi ricordate di avere mai visto molte ragazzine
dentro un negozio di videogame?

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