Diritti d’autore e Web, la Corte di Giustizia mette un punto

Una sentenza storica quella della Corte di Giustizia europea, che vieta ai giudici dei singoli stati dell’Unione di imporre l’introduzione, a carico dei provider Internet, di qualsiasi filtro utile a prevenire il download di alcuni contenuti attraverso la rete. Compresi quelli soggetti a copyright.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso quest’oggi una sentenza che da molti esperti viene definita “storica”. L’alta istituzione, che ha sede nel Lussemburgo, ha il compito di garantire l’osservanza del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione Europea. Il caso sui quali i giudici si sono oggi espressi è estremamente importante per il mondo della Rete perché rimarca dei principi che sono stati recentemente oggetto di ripetute contestazioni.

La sentenza appena emessa vieta ai giudici dei singoli stati dell’Unione di imporre l’introduzione, a carico dei provider Internet, di imporre qualsiasi filtro per prevenire il download di determinati contenuti attraverso la rete Internet, compreso il prelevamento non autorizzato di materiale soggetto al diritto d’autore.

I giudici sembrano quindi aver fatto proprio il parere espresso nel mese di aprile dall’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Pedro Cruz Villalón. Il legale spiegò che l’imposizione di obblighi di filtraggio in capo ai fornitori Internet avrebbe validità sull’intero territorio europeo spostando largamente la responsabilità giuridica ed economica della lotta contro il download illegale di opere piratate su Internet verso gli ISP (Internet Service Provider).

L’avvocato Fulvio Sarzana, uno dei maggiori esperti in materia, ha commentato la sentenza della Corte di Giustizia evidenziando alcuni punti fondamentali. Innanzi tutto, si rammenta che i titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere che sia emanata un’ordinanza nei confronti degli intermediari (quali sono i fornitori di accesso a Internet) i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare i loro diritti. “Le modalità delle ingiunzioni sono stabilite dal diritto nazionale. Tuttavia, dette norme nazionali devono rispettare le limitazioni derivanti dal diritto dell’Unione in particolare, il divieto imposto dalla direttiva sul commercio elettronico alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete“, sottolinea Sarzana facendo riferimento alla decisione della Corte.

La vertenza, alla quale ha posto la parola fine la Corte di Giustizia, era stata avviata dalla SABAM (Société belge des auteurs compositeurs et éditeurs), l’equivalente della SIAE italiana. La società belga, lamentandosi dello scambio di opere musicali protette dal diritto d’autore attraverso i ben noti circuiti peer-to-peer, chiese che un provider Internet (Scarlet Extended SA) fosse obbligato ad adoperarsi per far cessare tali comportamenti illeciti “rendendo impossibile o paralizzando qualsiasi forma di invio o di ricevimento da parte dei suoi clienti, mediante software peer-to-peer, di file contenenti un’opera musicale senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti“.

Sarzana sottolinea uno dei punti riconosciuti dalla Corte: “l’ingiunzione in oggetto obbligherebbe la Scarlet (il provider Internet chiamato in causa – ndr) a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. L’ingiunzione imporrebbe dunque une sorveglianza generalizzata, incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, siffatta ingiunzione non rispetterebbe neppure i diritti fondamentali applicabili. (…) . Pertanto, un’ingiunzione di questo genere causerebbe una grave violazione della libertà di impresa della Scarlet, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e interamente a sue spese“.

Il controverso sistema di filtraggio, inoltre, sempre secondo i giudici europei, potrebbe verosimilmente ledere i diritti dei clienti del provider Internet ossia i loro diritti alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni. “Da un lato, infatti, è pacifico che tale ingiunzione implicherebbe un’analisi sistematica di tutti i contenuti, nonché la raccolta e l’identificazione degli indirizzi IP degli utenti che effettuano l’invio dei contenuti illeciti sulla rete, indirizzi che costituiscono dati personali. Dall’altro, detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito“, evidenzia l’avvocato Sarzana.

La soluzione dei filtri imposti a livello del singolo provider non piace affatto, quindi, alla Corte di Giustizia che conclude osservando come, decretando tali limitazioni, un giudice nazionale verrebbe meno all’obbligo di garantire “un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro“.

A questo punto sono evidenti gli effetti che la disposizione avrà sulla legislazione dei singoli Stati europei avendo posto dei paletti oltre i quali non è possibile spingersi.

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