Le aziende e i vendor parlano sempre genericamente di digital transformation e dei vari volti che essa assume nelle imprese.
IT manager e CIO sanno che il loro ruolo cambia e viene valutato sempre più nell’ottica delle tecnologie come fattori abilitanti per nuovi prodotti e servizi. Ma il rischio è quello di passare da termini onnicomprensivi – in primis proprio digital transformation – ad applicazioni pratiche molto specifiche, senza una via di mezzo.
In realtà la digital transformation si può anche vedere come il portato di trend di sviluppo tecnologico-applicativo.
Come un obiettivo al quale tendono forze meno generiche ma allo stesso tempo abbastanza trasversali da comprendere molte applicazioni pratiche. Alcune di queste forze sono ovvie e altre meno, tutte possono toccare in vario modo la quotidianità dell’IT.
Una parte importante di queste forze di digital transformation riguarda il mettere in grado i sistemi IT di svolgere in modo automatico determinati compiti e processi, facendo leva su competenze non solo codificate staticamente ma anche “apprese” in machine learning.
Il risultato a tendere è in generale fare in modo che ci sia un sistema sempre pronto a completare certe funzioni nella maniera migliore. Che si tratti di supporto clienti o di funzioni dell’IT stessa, fa poca differenza.
I termini che si usano per descrivere questo macro-trend sono diversi, a seconda di quale aspetto si voglia mettere maggiormente in luce.
Il concetto di automazione è quello più logico ed evidente, nella visione ottimistica della digital transformation secondo cui automatizzare i compiti più noiosi liberi tempo per usare le risorse dell’IT in maniera più produttiva per il business.
Automatizzare però non basta, secondo molti analisti. L’automazione è la base su cui poggiare altri obiettivi più ambiziosi, in cui lo staff IT in un certo senso acquista nuovi “colleghi” nelle funzioni di intelligenza artificiale e machine learning. Si parla in questo senso sempre più di simbiosi tra parte umana e AI.
Ciò che è ben definito e ripetibile si può automatizzare già ora, dalla collaborazione tra AI e personale umano nasceranno componenti che saranno in grado di velocizzare e semplificare operazioni più complesse: ottimizzare infrastrutture IT, reagire meglio alle intrusioni in rete, mettere in piedi parti di progetti IT articolati.
I soft skill
Ma le questioni tecniche sono solo una parte dell’evoluzione introdotta genericamente dalla digitial transformation. Se l’IT vuole essere davvero produttiva e non travolta dall’automazione deve seguire alcune direttrici evolutive che riguardano i cosiddetti “soft skill”, competenze e attitudini non tecniche che saranno quelle non automatizzabili. Le parole chiave in questo senso sono velocità, elasticità e flessibilità.
La velocità è quella che viene richiesta all’IT nell’identificare le nuove tecnologie a maggior valore e nell’implementarle in azienda. Anche in maniera proattiva nei confronti delle altre figure d’impresa, quindi con lo sviluppo di competenze di business per capire cosa porti davvero vantaggi all’impresa e cosa no.
Da qui anche la richiesta di agilità, intesa sia dal punto di vista più tecnico delle tecnologie di sviluppo agile sia come capacità di adattarsi a comunicare con dipartimenti diversi dell’impresa e di comprendere le loro esigenze.
Si viene così a creare un ambiente dinamico in cui lo staff IT deve essere flessibile. La parte “statica” del suo lavoro passerà sempre più alle funzioni di automazione, la flessibilità è la capacità di affrontare tutto il resto: affrontare ciò che non è prevedibile, capire che bisogna seguire strade nuove per risolvere un problema.
Il concetto di fondo, spiegano in sostanza diversi osservatori, è che a far avanzare la tecnologia saranno sempre più proprio coloro che sono capaci di esserle un passo avanti.