Digital Tax, non una tassa ma strumento anti-elusione

Matteo Renzi ha annunciato nei giorni scorsi che dal primo gennaio 2017 entrerà in vigore la cosiddetta  Digital Tax, pensata per far pagare le tasse in Italia ai colossi online che svolgono operazioni economiche e commerciali in Italia.
Leggendo il testo si scopre che non è una tassa diretta, bensì una norma che prevede più modalità, tra le quali anche una tassa.
A spiegare la norma in una conversazione con Formiche.net è Stefano Quintarelli, deputato di Scelta Civica ed esperto di telecomunicazioni, tra i pionieri del digitale in Italia e membro dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione tecStefano Quintarellinologica. Quintarelli parla con diretta cognizione di causa, visto che la proposta che ha ispirato Palazzo Chigi è derivata da un precedente lavoro messo a punto da Enrico Zanetti (sottosegretario all’Economia) e dallo stesso Quintarelli. La stessa proposta Zanetti-Quintarelli è modellata su una prededente proposta dell’Ocse.
Da una prima analisi, l’impianto delle due proposte dovrebbe coincidere: non è quindi una tassa tout-court, bensì di un meccanismo anti-elusivo: “la mia proposta”, spiega Quintarelli, “prevede che sui pagamenti a favore delle multinazionali con sede all’estero banche e intermediari applichino una ritenuta alla fonte del 25%“.

In cerca di omogeneità e… rendimenti

Internazionalmente si procede lentamente, quindi difficilmente la lettura finale sarà presentata contemporaneamente e con gli stessi parametri.L’Italia può già muoversi per conto suo, perché i trattati glielo consentono, quindi non ha senso aspettare”, spiega Quintarelli. Altri Paesi, però, hanno una situazione diversa non possono operare subito. Ciò creerà una situazione non uniforme, con alcuni luoghi nei quali la proposta Ocse verrà interpretata diversamente e successivamente: “sarebbe un bene se ci fosse una soluzione uniforme”.
Il campo di applicazione non è ancora ben definito. Sicuramente la norma sarà applicata su aziende con un giro d’affari superiore a una certa soglia e operanti da un certo numero di anni, quindi non sulle startup.
Anche la valutazione degli introiti relativi è piuttosto nebulosa. Non si ha un elenco di aziende che verrebbero interessate dal provvedimento, né degli operatori che ne diventerebbero sostituti d’imposta. Inoltre la proposta prevede tre forme di adesione: dichiarare una stabile organizzazione in Italia (come ha fatto Amazon) e quindi pagare regolarmente le tasse, applicare il Ruling internazionale, ovvero un accordo fra contribuente e fisco, o sottoporsi a ritenuta. Si tratta comunque di numeri rilevanti.
Va infine ricordato chela norma è compatibile con il diritto internazionale, quindi rimedierà solo in parte ad alcuni pertugi offerti da regimi vantaggiosi come quello irlandese o dei Paesi Bassi”.

 

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