Datamonitor fa chiarezza sui Web service mobile

L’analista fa il punto sull’interpretazione che si dà ai servizi Web per le infrastrutture mobili. Riconosce le difficoltà, ma riconduce tutto all’Eai che c’è già.

17 luglio 2003

Datamonitor si è interrogata su cosa significhi creare Web service per le infrastrutture mobile, partendo dalla considerazione che esistono vari metodi di interpretazione, che potrebbero generare confusione.


In un rapporto, rilasciato nei giorni scorsi, l’analista riconosce che le interpretazioni di ciò che possano essere i Web service mobile sono molteplici, in virtù dell’estrazione del vendor che li produce, che può essere legato a una tecnologia di integrazione, a un modello di networking distribuito, a un’architettura basata su componenti, addirittura a un software applicativo o, ancora a un banale set di tecnologie.


Per comprendere meglio il quadro, dice il rapporto, bisognerebbe partire dal punto di arrivo, dallo scopo reale dei Web service: assicurare alle aziende la capacità di valorizzare gli investimenti fatti, permettendo l’accesso alle informazioni di back-end, il tutto in maniera svincolata dalla piattaforma tecnologica di base.


In ciò, il fatto che i Web service debbano legare dispositivi mobili non dovrebbe cambiare il quadro: le esigenze rimangono e un progetto corretto di Eai dovrebbe tenerne conto.


Il problema, semmai, è generato dalle complicanze tecnologiche di un Web service siffatto, dato che dovrebbe tener conto di una condizione imprescindibile: è di servizio a un dispositivo che sta al di fuori dell’azienda, quindi del corporate firewall. Però questa connotazione non deve portare fuori strada al punto da far inquadrare i Web service mobile in un contesto avulso dall’Eai cosiddetta “wired”, cioè attinente alle strutture informatiche ferme nell’edificio-azienda.


Insomma, ragionando sul piano delle opportunità di business, perché questo è il punto, il rapporto invita a evidenziare tre ambiti di azione: quello di sviluppo dei Web service all’interno dell’azienda, quello di creazione dei servizi da parte di un operatore esterno, quello che vede un provider assicurare i servizi, tramite un wrapper Xml.


L’ultimo ambito chiama in causa gli Isp, Asp o qant’altro possa essere identificato come un provider di infrastruttura.


In prima linea di dovrebbero essere i fornitori di Tlc, wired e mobile, che ambiscono da anni a prendersi fette della catena del valore informatico, se non fosse che, proprio in questi anni, hanno spesso mostrato la corda sul piano della business continuity.


Meglio quindi, sarebbe farsi le cose in casa, e con l’aiuto delle abituali terze parti, sempre che si inquadri il tema come un’estensione delle capacità gestionali enterprise.


Anche perché la tecnologia esistente è perfettamente in grado, se usata bene, di provvedere alla bisogna.


Non c’è bisogno di nuovo middleware. E, soprattutto, emerge dal rapporto, il mercato non intende tollerare l’emersione di una pletora di start up, definibili anche parvenue, che con la scusa dell’esotica definizione “mobile”, propongano innovativi modelli di integrazione che non hanno ragione di esistere.

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