Datacenter cloud: una piramide che vince lo scetticismo

Fare cloud con una struttura sempre disponibile, con competenze a disposizione e in sicurezza. Ne parliamo con Roberto Giari, ceo di Logon Technologies, che ne ha creata una.

Infrastruttura, piattaforma, software, sono le tre componenti di un servizio cloud. Generalmente se ne può scegliere una o un mix delle tre. Importa che chi fornisce il servizio sia ben organizzato per renderlo sicuro, per bilanciare le esigenze di prestazione e risparmio, e per tranquillizzare chi lo utilizza che non ci saranno interruzioni. Affrontiamo questi e altri temi con Roberto Giari, ceo di Logon Technologies, società italiana che ha approntato un datacenter per dare servizi senza problemi, puntando al rendimento.

Cosa vuol dire creare un data center per il cloud? Quali sono le principali differenze rispetto all’era precedente?

Più che un data center per il cloud, sarebbe meglio dire data center cloud.
Da parecchio tempo si sente parlare di cloud computing e spesso con significati diversi.
Prima di tutto è necessario dire che il cloud è strettamente legato alle tecnologie di virtualizzazione, senza le quali non sarebbe possibile garantire un utilizzo di risorse hardware o software distribuite in siti remoti. Attraverso infrastrutture in alta affidabilità è possibile assicurare dei livelli di servizio molto alti e, contemporaneamente, un’ampia scalabilità delle risorse da parte dell’utilizzatore, permettendo di modificare la propria capacità di utilizzo praticamente in tempo reale.
In sostanza, la reale infrastruttura non viene definita in modo dettagliato all’utilizzatore, ma all’utilizzatore vengono garantiti solamente i livelli di servizio. È evidente che rispetto a qualche anno fa, utilizzare servizi diventa semplice, permettendo l’utilizzo di risorse e di infrastrutture in alta affidabilità, senza doversi preoccupare del singolo server e di tutte le problematiche legate alla gestione e manutenzione delle infrastrutture It.

In cosa deve investire un fornitore di servizi? Più in strumenti affidabili o in competenze?
In altri termini, dentro il data center, ci sono skill che non si trovano fuori?

Logon Technologies ha attivato il primo servizio nel 1999, garantendo l’utilizzo di un sistema Erp attraverso il Web per una ventina di postazioni di lavoro. Già allora fu chiaro che percorrere la strada dei servizi online implicava due aspetti fondamentali: infrastrutture e tecnologie che garantissero un’alta continuità di servizio e un insieme di competenze progettuali, sistemistiche e relative alla sicurezza informatica, di altissimo livello. Non è pensabile fornire servizi e soluzioni di qualità senza un’infrastruttura adeguata e non è possibile progettare e gestire un’infrastruttura tecnologica senza le competenze adeguate.
Se si pensa di poter standardizzare l’esternalizzazione dei servizi It di un’azienda, si incorre in errore, perché ogni realtà piccola o grande che sia, ha delle proprie caratteristiche, abitudini lavorative ed organizzative, nonché delle infrastrutture eterogenee e spesso create nel corso degli anni. Non si può pensare di dire al cliente “butta via tutto e ricominciamo da zero” ma è necessario intervenire in termini progettuali per comprendere e proporre la miglior soluzione e non una standard. Utilizzare servizi online tramite un data center garantisce al cliente la disponibilità di risorse e skill che non potrebbe mantenere all’interno. Scegliere un datacenter non è solo una questione di capacità elaborativa e di garanzie sulla location, perché implica l’affidarsi a un terzo in termini di sicurezza e di affidabilità di intervento a fronte di problemi o anomalie.
Infrastruttura, piattaforma, software: tre modi per fare servizio.

Esiste un modo per definire e racchiudere tutto? E quale tipologia di utente potrebbe essere interessata?


Verrebbe da dire cloud computing, ma la cosa è certamente più complessa ed articolata e dipende molto anche dalle reali necessità dell’azienda che intende avvalersi di un data center. È possibile scindere od accorpare i tre elementi (infrastruttura, piattaforma e software) a proprio piacimento e soprattutto a fronte della reale necessità o scelta di esternalizzazione di un singolo servizio o di intere piattaforme. Spesso abbiamo visto nostri clienti che cominciavano ad esternalizzare singoli servizi (posta elettronica, applicazioni dipartimentali) per arrivare nell’arco di pochi mesi ad una esternalizzazione di intere piattaforme business critical, valutando nel tempo il grado di beneficio. Esternalizzare i servizi e le piattaforme non è una scelta one shot ma è un percorso culturale che deve essere intrapreso dal management aziendale e dai reparti It. Non si tratta solamente di collegarsi ad un sito remoto per accedere ad una o più applicazioni, ma riguarda la garanzia del proprio business, la sicurezza dei dati e come questi vengono gestiti dall’outsourcer.
Per questi motivi identificare una tipologia di cliente non è così semplice, molto dipende dalle esperienze precedenti e dalle propensioni alle logiche di collaborazione e di fiducia dei dirigenti aziendali. Spesso le grandi aziende, avendo al proprio interno personale qualificato, scelgono di esternalizzare solo i profili dipartimentali o di assicurarsi profili di disaster recovery e/o business continuity, mantenendo al proprio interno i sistemi di produzione. Allo stesso tempo nella piccola impresa, il carico dei costi di infrastruttura e del personale qualificato necessari per mantenere dei servizi online, fanno propendere per l’outsourcing.

Con poche parole, come si convince un’azienda scettica a fruire di servizi cloud?

Lo scetticismo verso i servizi cloud, e più in generale verso l’esternalizzazione dei servizi, nasce da diverse motivazioni ed alcune sono difficili da scardinare e rimuovere. Sicuramente uno dei motivi principali riguarda la sicurezza delle informazioni che vengono esternalizzate e sul quanto davvero le politiche di sicurezza vengano applicate e gestite poi nel datacenter.

Quali garanzie, a parole e nei fatti, deve esibire un fornitore di servizi cloud?

Un datacenter è di fatto una piramide dove l’utilizzatore vede solo il risultato ultimo. È evidente che all’interno del contratto, degli Sla che vengono di volta in volta concordati con il cliente, ci sono dei parametri più o meno fissi (la capacità elettrica, gruppi elettrogeni, la connettività e tutto ciò che riguarda l’infrastruttura della location fisica) e parti invece che devono essere concordate, come le politiche di backup, di ripristino e la gestione dei dati. Oltre a questo, credo che la cosa più importante per proporre dei servizi applicativi nella nuvola, sia la presenza di persone con elevati skill progettuali e tecnico-applicativi.

Con il cloud chi vince, il costo o l’efficienza? Ossia, conta più il risparmio o la performance?

La vera capacità di un datacenter è quella di bilanciare questi due aspetti e di rendere un profilo di performance, scalabilità, fondamentali per il cliente. Il mercato oggi è comunque molto vario e spesso confuso, tanto che aziende che propongo sistemi cloud interamente ridondati, vengono paragonate a chi propone la virtualizzazione come “fetta” di un singolo server.

Cloud e smartphone, c’è una connessione: logica, fisica, strategica? C’è un futuro combinato?

Direi che ormai non è più possibile distinguere tra un computer che accede ad una applicazione rispetto a uno smartphone. Sempre più potenti ed adatti, fanno parte delle possibilità di accesso ai servizi cloud e sempre di più le aziende utilizzano questi strumenti anche per applicazioni di business.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome