Come si fa una Soa

Quando ciò che conta è la serietà del progetto.

Un’espressione di buona volontà.
Sembra uno slogan da campagna
elettorale, ma quella è finita da un pezzo (in realtà, da pochi giorni, ma
valgono un secolo).
No, la buona volontà è quella dei progetti seri, che si
possono fare ancora in Italia.

Seri a tal punto che non si misurano su
periodi temporali di mesi o settimane, come va di moda da un po’, ma su anni.


Partito come idea all’inizio dell’anno, il progetto Mercury vivrà un
momento importante a febbraio 2007. Esattamente: più di un anno di studio e
lavoro, confronti e discussioni.

L’idea di fondo, portata avanti dal
creatore del progetto, Francesco Orrù, una vita in Microsoft, è di creare il
primo mediatore italiano di transazioni fra sistemi gestionali.
In pratica,
una Soa, Service Oriented Architecture.
Per farla ha bisogno di supporto
tecnologico e societario.

E ce l’ha: per ora ci sono dieci operatori del
software gestionale italiano che lo sostengono con la modalità consortile. Per
farla ha anche bisogno di stakeholder, ovvero, soggetti interessati.

E
serve un anno per sondare l’economia italiana fatta da aziende manifatturiere,
vettori logistici, professionisti della contabilità.
Per farla ha bisogno di
creare uno stack middleware, brutta parola per dire un sistema software che
garantisca che un ordine che parte da una società arrivi a un’altra e sia da
questo subito attivato, indipendentemente dai sistemi in uso.

Ci vuole
un anno per chiarirsi le idee su cosa fare, per chi e come. Dopodiché si può
partire a creare il sistema e a proporre alle aziende di utilizzarlo.
In
totale, due anni di lavoro.
Per chiamare serio un progetto, è il minimo.

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