Cile, oltre il rame c’è di più per attirare imprese estere

Inaugurato a Milano il “Mes de Chile”, iniziativa dedicata allo sviluppo economico e culturale tra l’Italia e il Paese sudamericano, sempre più aperto al commercio internazionale

Al Cile le miniere non bastano più. Abbandonate da decenni le città fantasma della corsa ai nitrati (che furono come l’oro nel Klondike) in favore dei giacimenti di rame, il paese economicamente più vivace dell’America del Sud continua a incrementare gli scambi internazionali. Il Cile post Pinochet ha sempre fatto del libero mercato la sua bandiera, stringendo quasi 60 accordi commerciali. Negli ultimi dieci anni, il 76% delle esportazioni si è indirizzato verso un gruppo di paesi (Cina, Stati Uniti e Giappone in primis) che rappresenta quasi il 90% del Pil mondiale. I prodotti hanno raggiunto 189 mercati esteri.

Per rinforzare il legame italiano con Santiago – Roma è il secondo partner europeo dopo l’Olanda – si è appena inaugurato a Milano il “Mes de Chile”, l’iniziativa dell’agenzia Pro Chile dedicata allo sviluppo economico e culturale tra i due paesi. Gli scambi commerciali sono più che raddoppiati dal 2004 al 2008, passando da 1.783 a 4.227 milioni di dollari. Il settore minerario vale la fetta maggiore dell’export cileno in Italia (82%), grazie soprattutto al rame. Anche se i prodotti più conosciuti nel nostro paese sono quelli agroalimentari, come uva, kiwi, vino, crostacei e molluschi.

I nuovi investimenti dalle miniere al turismo
La forza e debolezza dell’economia cilena è la sua dipendenza dalle miniere. Il surplus della bilancia commerciale è crollato del 70% a gennaio 2009 (dati Ice) rispetto allo stesso mese del 2008, principalmente perché il prezzo del rame è diminuito, così come la domanda di materie prime. Gli investimenti esteri diretti in Cile, tuttavia, si sono impennati del 254% nel 2008 in confronto al 2007, superando i dieci miliardi di dollari. L’Ice ha riferito che, nei primi tre mesi del 2009, tali investimenti si sono triplicati dallo stesso periodo dell’anno precedente.

Il segnale per il governo cileno è chiaro: il paese piace sempre di più alle imprese straniere. Ci sono tanti settori in rapida espansione. Elettricità e gas, energie rinnovabili, infrastrutture sono tra i più remunerativi, senza dimenticare il turismo, che può sfruttare la varietà di bellezze naturali (dal Pacifico alle Ande attraverso il deserto di Atacama). È una varietà che si ritrova sul piano economico e sociale, diviso tra l’aumento dei consumi – automobili, tecnologia e moda – e la povertà. Il cielo riassume tutti i contrasti: così grigio da trasformare Santiago in una delle città più inquinate del pianeta, e così terso da permettere la costruzione di telescopi potentissimi come quello di Paranal, in una zona disabitata.

Sussidi pubblici e scambi commerciali
Il governo di Michelle Bachelet ha varato un programma da quattro miliardi di dollari (il 2,8% del Pil) per rilanciare l’economia nazionale. Il piano intende creare 100mila nuovi posti di lavoro e raggiungere un tasso di crescita del 2-3% nel 2009. Ci sono sussidi per le famiglie povere e per l’assunzione dei giovani, oltre a misure per facilitare l’emissione di crediti bancari alle imprese; 700 milioni destinati all’edilizia e le infrastrutture, con centinaia di progetti di viabilità urbana e rurale, aeroporti e opere idrauliche. Poiché delle miniere non si è mai stufi, c’è anche l’aumento del capitale per il colosso statale del rame Codelco, pari a un miliardo di dollari, per finanziare gli investimenti già previsti dalla società.

Gli investimenti per l’innovazione, inoltre, aumenteranno di quasi il 30% nel 2009 rispetto al 2008, sfiorando i 500 milioni di dollari (fonte Ice Santiago). Serviranno non solo per attività R&S delle aziende, ma anche per sviluppare i servizi, il turismo e l’agricoltura. L’obiettivo è salvaguardare l’ascesa dell’economia cilena, il cui Pil è quasi raddoppiato dal 2004 al 2008, balzando da 95 a 170 miliardi di dollari. Gli scambi commerciali sono cresciuti del 15% nel 2008 rispetto all’anno precedente; l’export ha sforato quota 70 miliardi. Il Cile si sta impegnando al massimo per meritare il primo posto nelle classifiche internazionali sulla competitività nell’area latinoamericana; perché se “il salario del Cile è il rame”, come dichiarò Salvador Allende, nuovi settori industriali bussano alle porte.

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