Cercando 30mila teste

La biografia di Steve Jobs è già un caso di controcultura, perché può rimettere le cose al loro posto.

Agiografia? No, biografia. Autorizzata, per di più caldeggiata. Come tutte le cose che ruotano attorno alla personalità di Steve Jobs anche il libro che racconta la sua vita, scritto da Walter Isaacson, diventa un caso.
Pare lo faccia (non l’abbiamo letta, eccetto alcuni estratti resi noti nella pubblicistica statunitense) perché del protagonista ne parla anche male quando è il caso. Ma Jobs e famiglia ne erano e sono perfettamente consapevoli.

Dal libro di Isaacson dovrebbe uscirne un Jobs uomo e non dio, con tutte le connotazioni del primo: capace di essere sia creatore geniale, sia urtante nei rapporti con il prossimo.
Rimandiamo tutti, noi compresi, alla lettura per capire fin dove Isaacson ha inteso spingersi e fermiamoci agli ingredienti con cui una biografia solitamente arricchisce il piatto: le curiosità mai raccontate.

Una in particolare ci solletica e riguarda la cena avuta a inizio anno dal presidente Obama con un gruppo di Ceo dell’industria tecnologica, fra cui, oltre a Jobs, Zuckerberg (Facebook), Schmidt (allora ceo di Google), Bartz (allora di Yahoo), Ellison (Oracle) e Chambers (Cisco).

Non fu un incontro cordiale. Anzi, pare fu seccante per molti, Obama per primo, che lamentò il fatto che i ceo avessero pensato a curare i propri interessi più che trattare con lui i modi per rilanciare l’economia americana.

E dietro l’invito ad avanzare proposte, quella di Jobs fu sul sistema formativo, incapace, a suo dire, di trattenere in America dopo la laurea quegli studenti stranieri, ingegneri specializzati, che le servono e che sono almeno 30mila. La risposta del Presidente fu che il progetto di legge per prolungare il permesso di soggiorno dopo il diploma era impantanato al Congresso.
Sapere che l’America aveva un presidente intelligente ma intento a spiegare perché le cose non si possono fare portò Jobs a infuriarsi.

In altra occasione, proprio per produrre quelle 30mila teste Jobs ipotizzava di rivoluzionare il sistema scolastico su undici mesi di giornate piene.
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Obama per un po' prese anche in considerazione la cosa: “dobbiamo trovare il modo di formare quelle 30mila teste che Jobs ci chiede”, disse ai suoi.

E si sa come Jobs la pensasse sul fabbricare in America: l’insofferenza a ritenuti lacci e costosi lacciuoli lo avevano motivato ad andare in Cina a dare impiego a 700mila lavoratori non americani.

Una spiegazione che pose Jobs su un piano popolato da tanti altri manager, alcuni ben conosciuti alle nostre latitudini, come lo sono le richieste che indirizzano alla politica.

In sintesi, anche lui fu, con tutte le forze e le debolezze un comune imprenditore.

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