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Business software alliance, il rapporto italiano

Secondo la Bsa, Business software alliance, l’associazione dei produttori di software che combatte contro la pirateria, arriva a quasi 57mila euro la somma che in media nel 2017 una Pmi italiana non in regola con le licenze software ha pagato per sanare la situazione.

Il dato, in attesa del rilascio della 2018 Global Software Survey, l’indagine biennale sulla diffusione a livello globale dei software privi di licenza, riguarda il risarcimento dei danni causati dalla violazione del diritto d’autore, a cui si aggiungono gli accordi transattivi con i produttori e l’acquisto i nuovi software.

Bsa dice che le aziende che utilizzavano software pirata nel 2017 hanno pagato complessivamente oltre 1,3 milioni, contro i circa 950mila euro del 2016, con un aumento del 37%. In questo computo sono esclusi i danni reputazionali, quelli all’immagine, gli altri costi legali e le spese indirette.

Pirateria diffusa in Italia

Nei prossimi mesi, annuncia Bsa, è in programma una intensificazione delle azioni di contrasto. Il tasso di positività delle azioni rimane infatti molto alto, con l’individuazione di illeciti nelle aziende sotto verifica.

Nel 2017 sono arrivate a Bsa Italia ben 444 segnalazioni contro le 322 del 2016. Per quanto riguarda il 2018 si registra un vero e proprio exploit: nel primo quadrimestre sono state superate le 400 segnalazioni.

La diffusione dei software privi di licenza è trasversale e riguarda tutti i settori con un’incidenza che può arrivare anche a un caso su due.

I principali trasgressori del 2017 sono state le aziende che operano nell’area information technology, le società di vendita e le imprese manifatturiere, seguite da vicino dalle aziende grafiche, pubblicitarie e dagli studi di architettura.

La classifica dei programmi più copiati vede Windows e la suite Office, quelli di Adobe per il fotoritocco e Autocad di Autodesk.

La diffusione della pirateria in Italia non è una novità. Un’indagine sempre di Bsa dello scorso anno indicava che circa l’80% dei dipendenti di Pmi italiane ritiene che pratiche illegali o comunque contrarie all’etica siano comuni tra le imprese.

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