«Blogosfera», nuovo ambito aziendale

Il caso di Sun è esemplare: come ottenere benefici commerciali lasciando che i dipendenti si esprimano liberamente. Utilizzando il Web.

Il fenomeno blog sta assumendo connotazioni imponenti, non solo su un livello di utilizzo personale, ma anche in un contesto articolato professionale-aziendale.
Bisognerà prima o poi farci il callo, insomma, e avere per l’oggetto la giusta considerazione.


Specie se emergono situazioni come quella che riguarda Sun, che se da un lato fa collocare la tematica ancora sotto il cappello del pionierismo, dall’altra, proprio per la portata semantica che ha ciò che fa la società americana, la eleva a un piano di interesse per cui tutti coloro che non sono insensibili alle variazioni nei meccanismi di comunicazione aziendale non possono rimanerne fuori.


Il primo fatto: a circa un anno e mezzo dall’inizio dell’era blog in Sun, con il top management a fare da esempio, si fanno due conti per scoprire che circa 2mila pesone della società sono coinvolte nella gestione di un diario di interazione online.


Il secondo fatto: visto il successo, la società pensa di rimpolpare l’infrastruttura per consentire ai blogger aziendali di caricare anche contenuti multimediali.


Terzo fatto, centrale per la portata che potrebbe avere: la società pensa di incentivare ulteriormente i dipendenti a tenere un blog, specie quelli coinvolti nei processi di disegno e realizzazione dei prodotti hardware. In sostanza, è come se chiedesse loro di tenere un diario del loro immaginario, mettendo nero su bianco cosa frulla loro per la testa, soprattutto a livello creativo e progettuale.


Parola di Tim Bray, che di Sun è il responsabile delle tecnologie Web.


Lo stesso Bray che fa notare quanto la sua società sia fuori da quegli anacronismi in cui si dibattono altre realtà, come quelle che, magari, fanno causa e licenziano i dipendenti che bloggano.


Al contrario, la società di McNealy, nel trarre un bilancio quantitativo dei blog aziendali, ne fa anche uno qualitativo, e si spinge a sostenere che ha indubbiamente tratto beneficio dall’attività di corporate blogging innescatasi dal maggio dello scorso anno. Insomma, il costo (risibile, in termini di infrastruttura e tempo) dei blog, è stato abbondantemente superato dai benefici, dati dalla comunicazione di idee, critiche, proposte per i servizi ai clienti, poi tradottesi in realizzazioni. Per esempio, i blog hanno consentito ad alcuni commerciali di scambiarsi consigli sui clienti, e quelli che non erano riusciti a “sfondare”, ce l’hanno poi fatta.


E la ricetta-consiglio che Bray elargisce, coram popolo, ma anche indirizzandola proprio alle società patentemente blog-scettiche è: scoraggiare o, peggio, proibire il corporate blog non solo non consente di ottenere consistenti benefici pratici (come quelli commerciali), ma può generare problemi relazionali fra e coni dipendenti. Insomma, se una società non si fida di ciò che i propri dipendenti possono comunicare all’esterno (e il blog è il metodo più diretto per farlo) i suoi problemi sono ben altri che un semplice sito.

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