Bio informatica. La frontiera dell’It fra speranze e dubbi

Ecco un settore a Roi garantito, nel quale le società tecnologiche possono trovare grande linfa per il loro business, perché il target finale è l’uomo. Questo il parere di Ernesto Hofmann, di Ibm, che investe da tempo in quest’ambito e punta a una buona fetta del mercato che nascerà.

Ibm crede fortemente nella bio informatica – esordisce Ernesto Hofmann, persona che in Ibm Italia possiamo collocare comodamente sullo scranno del guru – Basti dire che il business del settore nel 2001 era di 3 miliardi di dollari, quest’anno è salito a 9 miliardi ed entro quattro anni raggiungerà almeno i 50 miliardi di dollari“.


Per quella data, a Ibm basterebbe avere il 10% del mercato, il che significa 5 miliardi di dollari, che da soli coprirebbero le spese di ricerca e sviluppo della società in tutti i settori. “C’è un’attesa messianica – prosegue Hofmann – attorno alla bio It, complici le industrie farmaceutiche, che hanno un business titanico“.


Ibm, che ha laboratori che coinvolgono complessivamente 3.500 ricercatori in tutto il mondo e in cui vengono investiti 5 miliardi di dollari l’anno, ha deciso di investire l’uno per cento delle risorse nel coordinamento delle attività a scopo di indirizzo sulla bio It. In totale, ci sono 35 ingegneri e scienziati (situati presso i laboratori di Yorktown, nello stato di New York, e ad Almaden, in California) che accolgono le istanze funzionali che provengono da questo mercato, e le dirigono verso le tradizionali aree di sviluppo della società, come i database o i server, chiedendo loro di progettare i prodotti per svolgere particolari funzioni.


A che punto sono le ricerche e su cosa vertono? “Già nel 1999 – confessa Hofmann – Ibm ha pianificato investimenti per 100 milioni di dollari, mirati soprattutto al progetto conosciuto con il nome di Blue Gene, la macchina per la proteomica“, cioè lo studio delle proteine. Si tratta di un super computer che funziona come un grid, ma lo fa in locale, costituito da un milione di processori. Servono, infatti, milioni di miliardi di istruzioni al secondo (petaflop) per fare il calcolo della forma delle proteine (praticamente, 10 alla 23 operazioni al secondo).


È la bocciatura del grid computing? “No – dice Hofmann – un tale calcolo, sulla carta, si potrebbe anche farlo con il grid, che per definizione punta all’aggregazione di potenze di calcolo, ma viene a mancare la sincronia delle 10 alle 23 operazioni al secondo“.


Ma chi vuole la proteomica? “Essenzialmente l’industria farmaceutica, che è quella che paga di più al mondo per la ricerca scientifica e che è sensibile a un concetto di on demand“. Tanto sensibile che si potrebbe parlare di research on demand, una definizione che a Ibm, e ormai anche a tutta l’industria informatica, è molto cara.


È proprio l’industria farmaceutica ad aver finanziato la costruzione di Blue Gene, che alla fine del prossimo anno uscirà in versione ridotta, Blue Gene L, con un decimo della capacità complessiva, cioè 100mila processori.


Cray Computer e il Cineca, tanto per citare due realtà, stanno compiendo un analogo percorso, che è lo stesso che fece Compaq con il supercomputer per la codifica del Dna insieme a Celera.


Lecito chiedersi, allora, quale sarebbe l’obiettivo commerciale della macchina per la proteomica.


Prosaicamente, Hofmann spiega che “si spera, entro il 2010, di ridurre la spesa per lo sviluppo di un farmaco, che ora è di 500 milioni di dollari, a un terzo, e il tempo di sviluppo, che ora è di 15 anni, a un quarto“. Considerazioni, queste, che consentono di parlare di Roi, anche in ambito bio It.”Considerando che tutte le ricerche vertono sul fattore umano – puntualizza Hofmann – finché c’è uomo c’è Roi. Ma c’è anche un altro tipo di Roi da considerare, cioè quello del farmaco, inteso come sua efficacia. Problema non da poco, se si tiene conto che l’effetto positivo di un generico come l’Aspirina è del 50%. Oppure se si tiene conto che negli Stati Uniti ogni anno muoiono 125mila persone per aver assunto farmaci a loro non adatti“.


Anche quello del bio It appare come un settore inevitabilmente caratterizzato dall’indotto, nel quale vale il principio per cui una società tecnologica non può, e soprattutto non deve, coprire tutta la catena da sola.


Ibm – spiega Hofmann – ha 17 partner nella bio It, che vanno dal campo della genomica a quello della proteomica, dagli operatori di diagnostica fine a quelli esperti di raccolta dati, a quelli di chirurgia fine. Senza dimenticare chi opera nell’e-learning“.


Nel settore, poi, esiste, inutile nasconderlo, un problema legale, o, se si vuole, di rapporto con le istituzioni, che spesso, per ruolo, frenano lo sviluppo. Quale messaggio, allora, bisognerebbe trasferire alla comunità tecnologica e alle aziende per convincere a guardare con fiducia al bio It? “Ibm – rivela Hofmann – ha costituito un gruppo consulenziale che esplora le norme vigenti proprio per scovare gli intoppi che dal fronte legislativo potrebbero arrivare a tutte le attività di ricerca, e quindi anche a quelle della bio It. Si tratta proprio di un tool software, che gira sulla intranet, che consente di guidare i ricercatori nella propria attività cercando di eliminare i vicoli ciechi che potrebbero essere imboccati. Bisogna, comunque, che tutti si combatta l’anti-scientismo che sta emergendo. Il compito delle aziende è quello di cooperare con gli enti di ricerca e le università per debellare la strisciante demonizzazione della ricerca scientifica“.


Alla fine, quanta percentuale può coprire la bio It nelle attività di Ibm? “Al momento non è quantificabile – confessa Hofmann – però sono pronto a scommettere che nel 2010 la bio It sarà la metà del core business della società“.

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