Aspettando che la via all’e-procurement diventi obbligatoria

Prossimo, in termini di valore, ai 6 miliardi di euro, il peso degli acquisti via Web della Pa italiana è solo il 3% del totale. Criticato dagli operatori il calcolo in termini di risparmio a opera della School of Management del Politecnico di Milano.

Giunto alla quarta edizione, l’Osservatorio e-procurement nella Pubblica amministrazione della School of Management del Politecnico di Milano non ha prodotto grossi scossoni. Anzi. Rispetto ai dati rilevati anche solo un anno fa, la crescita dei volumi transati aumenta sì del 58%, superando i 5 miliardi di euro, rispetto agli oltre 3,2 riportati nel 2008, ma lo fa con un trend decisamente meno esplosivo che, con una stima prossima ai 6 miliardi, si riduce ulteriormente nelle previsioni per il 2010.

Puntuale, come di consueto, l’analisi di Paolo Catti, che alla School of Management del Politecnico si occupa da sempre di sviluppare i dati in quest’ambito, ripropone la fotografia di un’Italia in cui il Pubblico che mette a frutto con soddisfazione gli strumenti di e-procurement per i propri acquisti, continua a farlo utilizzando gare e aste elettroniche, «anche se, nel 2009, il ricorso ai negozi online a supporto delle convenzioni è più che raddoppiato segnando un incremento del 107%».

Ancora una volta, il totale transato si ripartisce tra Consip, «che ragionevolmente porta a casa la quota più rilevante» seguita dagli operatori regionali e pubblici in genere che, «contrariamente alla lieve contrazione (-17%) registrata dagli operatori privati che, comunque, possiamo già dare in ripresa nei dati 2010 – puntualizza Catti -, sono decisamente in crescita». In tal senso, portando a esempio Intercent-Er, vale a dire l’Agenzia regionale per lo sviluppo dei mercati telematici dell’Emilia Romagna, il messaggio è chiaro.

«L’e-procurement è più forte – constata Catti – laddove esiste una centrale acquisti regionale attiva sul territorio e in grado di sensibilizzare gli enti locali sulle opportunità derivanti dall’acquisto dei materiali via Web». Peccato che, tolta la già citata “cintura d’Italia”, e assodato che Toscana, Piemonte e Lombardia «stanno crescendo bene», all’appello manchino ancora molte regioni italiane. Il che è ragionevole, visto che su oltre 11.000 enti pubblici censiti in Italia, circa il 50% non ha alcuna esperienza di e-procurement.

Ma c’è di peggio. Secondo Catti, circa il 60% dei 5.000 enti che rimangono nel conteggio ricorrono «in maniera sporadica agli acquisti in modalità elettronica». Dei 2.000 considerati “maturi”, solo poche centinaia si pongono in un atteggiamento giudicato a metà strada fra “adolescenti” e “adulti”. In base a quanto espresso dai 42 enti pubblici interpellati dalla School of Management in questo quarto anno di indagine, ai quali si sono sommati 204 enti raggiunti attraverso una survey, che ha coinvolto anche 13 provider pubblici e privati di strumenti di e-procurement, benefici e criticità sono le stesse di sempre.

Chi ricorre alle gare elettroniche vede nella dematerializzazione della procedura, negli automatismi e nel miglior rapporto con i fornitori i principali plus «a cui vanno ad aggiungersi risparmi calcolati fra il 10 e il 15%, processi più efficienti, incremento della trasparenza e riduzione dei contenziosi». Per contro, le criticità riportate da Catti paiono legate «alla necessità di sviluppare competenze specifiche per efficaci strategie di gara e a resistenze culturali, sia lato enti, che fornitori».

Dal canto suo, il ricorso al mercato elettronico e ai cataloghi online dei fornitori risulta un utile strumento di benchmark per le Pa, che «riporta una maggiore efficienza per la gestione dei piccoli acquisti e un risparmio di tempo calcolato fra il 30 e il 60% contro aspetti meno positivi, come l’offerta limitata e la percezione di un prezzo non sempre competitivo». Infine, un ordine da convenzione effettuato da negozio online si attiva con facilità e riduce, secondo gli interpellati, il carico di lavoro dell’ufficio acquisti, che si ritrova un accesso facilitato «a economie di scala significative».

E non basta coprirsi dietro la “criticità” di una firma digitale ancora poco conosciuta ma ormai ai limiti dell’obbligatorietà. Per Catti, quel che appare chiaro è che, «sempre di più, anche in Italia, l’e-procurement è destinato a diventare strumento quotidiano per chi, nella Pubblica amministrazione, si occupa di acquisti». Peccato che, al momento, nonostante il valore assoluto sia consistente, il peso dell’e-procuremente sul totale degli acquisti della Pa di casa nostra sia pari solo a circa il 3%.

Scopre il fianco alle critiche, poi, il risparmio pari a 5 miliardi di euro ipotizzato dalla School of Management nell’ipotesi di completa adozione da parte di tutti gli enti pubblici delle soluzioni di e-procurement, incluse quelle a supporto dei pagamenti tra Pa e imprese. A criticarlo in primis è Danilo Broggi che, in qualità di amministratore delegato di Consip, suggerisce di «stare attenti a quando si parla di risparmi, perché si rischia di assegnare al procurement e all’e-procurement l’intero merito ma anche la responsabilità di un sistema che è solo parte di un tutto».

Meglio, allora, parlare di “spesa aggredibile”, piuttosto che di risparmio. È d’accordo con lui il direttore centrale regionale acquisti, Lombardia Informatica, Andrea Martino, per il quale «il risparmio è da valutare sull’impatto a margine che una gara telematica può dare rispetto a una tradizionale su una medesima merceologia. Al contrario – per Martino – è sull’efficienza che è misurabile l’impatto dell’e-procurement». Un ragionamento che il rappresentante di Intercent-Er, Giancarlo Zocca, traduce sottolineando «il sostegno che gli acquisti attraverso Internet possono dare all’innovazione, non solo della Pa, ma anche delle imprese».

In termini assoluti, per chi con la Pubblica amministrazione è avvezzo a dialogare, il vero must resta quello di realizzare «uno sforzo corale per formare le amministrazioni nell’utilizzo delle nuove procedure passando anche attraverso la sensibilizzazione delle associazioni di categoria delle imprese artigiane e industriali». Il suggerimento giunge ancora da Broggi che, insieme alla constatazione che «trent’anni di prassi amministrativa sono duri da sostituire con una procedura elettronica», ricorda che organi come Intercent funzionano «perché da tempo, in Emilia Romagna, esiste una norma che obbliga gli enti a effettuare i propri acquisti attraverso questa agenzia». Bisogna, poi, vedere se della norma tutti ne sanno fare un utilizzo “virtuoso“.

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