Aspettando che fra cloud e canale Ict sia business

Stando ai dati resi noti dalla School of Management del Politecnico di Milano, in Italia siamo ancora di fronte a un mercato embrionale, dove vincerà chi saprà far cultura prima nella propria struttura e, poi, presso il cliente finale.

Nulla di nuovo sotto il sole del trade italiano. A dirlo sono i dati dell’Osservatorio sugli operatori del canale Ict di casa nostra, ufficializzati, per il terzo anno consecutivo, dalla School of Management del Politecnico di Milano nel corso di Smau. Valutate la situazione economico-finanziaria e le principali operazioni di fusione e acquisizione verificatesi, negli ultimi dodici mesi, fra distributori, rivenditori di hardware, software house, system integrator e altri protagonisti della scena, la fotografia scattata resta pressoché immutata rispetto alle due precedenti edizioni.


Ad arricchirsi è piuttosto l’obiettivo dello studio. Cavalcando i trend in atto, ai 25.000 bilanci di società di capitali analizzati e alla cinquantina di operazioni di merger and acquisition considerate fra luglio 2009 e lo scorso giugno si è, infatti, aggiunta una survey estesa a oltre 700 operatori. Obiettivo, analizzare l’impatto delle soluzioni basate sul cloud computing sulle strategie dei protagonisti del canale Ict, a livello di nuovi modelli di business abilitanti, di opportunità o minacce percepite, di cambiamento nelle relazioni con vendor e clienti.


Contestualizzato in un mercato che continua a caratterizzarsi per un’eccessiva frammentazione e un’eterogeneità di operatori «che – come sottolineato da Andrea Rangone, in qualità di coordinatore degli Osservatori Ict & Management del Politecnico di Milano – mischia fra loro imprenditori con la “I” maiuscola e realtà ben più improvvisate», il Rapporto 2010 ha come scenario di riferimento i due miliardi di euro persi per strada dal mercato Ict che, nell’ultimo biennio 2009-2010, ha anche lasciato a casa 24.000 addetti sui 400.000 impiegati nell’intero comparto.


Presi come indicatori il rapporto fra utile netto e patrimonio netto (Roe), il rapporto fra margine operativo netto e totale capitale investito (Roi) e il margine operativo lordo (Ebitda) in percentuale rispetto ai ricavi, il quadro disegnato da Raffaello Balocco, responsabile scientifico Osservatorio Canale Ict, mostra «una redditività media ridotta degli operatori ma non, poi, così sensibilmente». A far meglio, ancora una volta, il comparto software e servizi, «a maggior marginalità rispetto a chi veicola sul mercato sia soluzioni hardware, che software».


Ancora una volta, anche le criticità restano quelle di sempre, visto che, con una media di 130 giorni per i pagamenti, il tempo medio d’incasso dei crediti continua a essere critico rispetto ad altri comparti. Tanto che «gli operatori del canale Ict si stanno nuovamente avvicinando al livello di guardia dell’indebitamento». Inoltre, nonostante nei primi sei mesi del 2010 i processi di fusione e acquisizione sono tornati a crescere e otto aziende straniere sono entrate nel nostro mercato acquisendo modelli di business italiani, un vero fenomeno di concentrazione «non può dirsi ancora in atto».


Ecco allora spiegato come il livello di attenzione voglia e possa spostarsi su un fenomeno come quello del cloud computing che, ai blocchi di partenza anche sul mercato di casa nostra, potrebbe rappresentare un’opportunità per il canale Ict italiano. O forse no, visti i risultati ottenuti dall’approfondimento condotto in maniera diretta dai fautori di questo Rapporto 2010. Gli stessi che, per volontà di completezza, hanno voluto considerare sia il modello di offerta Software as a Service, sia quello Infrastructure as a Service, che Platform as a Service (quest’ultimo senza successo).


Partendo dall’offerta Saas, Balocco evidenzia come un operatore su cinque dichiari di offrire almeno una soluzione in questa modalità, mentre più della metà (53%) afferma di non nutrire alcun interesse. Ciò detto, in modalità Software as a Service, in Italia, oggi si offrono soprattutto sistemi di posta elettronica, sistemi di collaboration/portali, Crm, conservazione sostitutiva e dematerializzazione. «E a meno che non si tratti di start up focalizzate, chi le offre – è l’ulteriore dettaglio – sta, per lo più, portando a casa una percentuale di fatturato ancora minima».


Non va meglio nell’offerta in modalità IaaS, intrapresa solo dal 6% dei rispondenti «per lo più system integrator che propongono progetti chiavi in mano, ma anche service provider e outsourcer (comprese le telco) intente a far evolvere la propria offerta Ict, o start up che offrono capacità elaborativa e di storage attraverso datacenter proprietari o di terzi». L’offerta, per tutti, riguarda software infrastrutturale, risorse virtuali preconfigurate, capacità di storage ed elaborativa ma, a parte le start up, anche in questo caso, la quota di fatturato è irrilevante.


Così, considerato che sia chi non pratica la strada del SaaS, sia chi non si avventura il quella dell’IaaS lo fa, rispettivamente nel 75 e nel 42% dei casi, perché non conosce le opportunità derivanti dall’offerta Software as a Service o perché adduce lo scarso interesse da parte dei clienti a utilizzare le infrastrutture di terzi come servizio, un dato solo emerge sugli altri. «Ed è che siamo ancora di fronte a un mercato embrionale dove la prima problematica è quella della conoscenza delle opportunità portate dal cloud computing e del modello di offerta più opportuno da adottare».

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