Anche Honeycomb ha codice Oracle?

L’analista indipendente Florian Mueller dettaglia quarantatré presunte infrazioni di Google dei diritti di Oracle, trovandone alcune anche nella più recente versione androidiana.

Torna d’attualità la contesa tra Oracle e Google per i rapporti tra le macchine virtuali Java e Dalvik e il software alla base del sistema operativo Android. La causa effettiva è dell’agosto scorso: Oracle, nuovo padrone di Java, ha citato Google per la presenza in Android Froyo 2.2 di codice da sette suoi brevetti e un gran numero di infrazioni brevettuali, patent infringements.
Come scriveva Michele Nasi, “l’accusa mossa da Oracle è pesante: circa un terzo delle Api (Application Programming Interface) di Android sarebbe stato fatto derivare dai pacchetti Api di Java soggetti al copyright di Oracle“.
La questione è stata rilanciata in questi giorni da una nuova analisi svolta da Florian Mueller il 21 gennaio e poi arricchita il 23.
Mueller, che si descrive come “an award-winning intellectual property activist with 25 years of software industry expertise”, ha analizzato la prova J allegata da Oracle ed ha trovato altri sei file, presenti però non solo in Froyo ma anche in Gingerbread, e ulteriori 37 file distribuiti da Sun ma con il marchio “proprietary/confidential” e una nota esplicita di “Do not distribute”.
Benché interessanti, le scoperte di Mueller non cambiano la sostanza della causa, dettagliando alcune delle infrazioni che certamente Oracle ha trovato -e in numero maggiore- e che Google conosce e ritiene irrilevanti.

Diritti e mercati
Dal punto di vista della proprietà intellettuale sollevata da Oracle è rilevante ai sensi della legge, meno da quello del software. E’ ragionevole che vengano approntate in tempi brevissimi versioni emendate del sistema operativo. Tecnicamente sarebbe stato grave se si fosse intaccata la Dalvik Machine, centrale nella strategia di Google: ma anche se Oracle la cita nella sua causa, gli oggetti della contesa sarebbero davvero minimi.
Dal punto di vista complessivo, Oracle può avere tre obiettivi: monetizzare Java (multe e licenze); acquisire diritti di cross-licensing su Android; entrare nel mercato dei tablet aziendali.
Dal punto di vista legale c’è da temere una lunga fase iniziale seguita da un accordo tra le parti. Le carte mostrano che c’è una serie di distinguo da operare sulle decine di infrazioni oggi segnalate da Oracle (e prima trascurate da Sun), raggruppabili in parecchi casi (copia, retroingegneria, di fatto open source, non specificamente proprietarie, specificamente proprietarie e qualche altra) per cui ad un certo punto i due colossi troveranno un accordo.

Ridefinire il diritto d’autore
Il timore è dovuto al fatto che sarebbe invece interessante sfruttare l’occasione per portare avanti il discorso sulla proprietà intellettuale del software. L’infinita saga su Unix, ma prima ancora la straordinaria frontiera aperta dal microcodice nei chip Intel, sono state avvincenti ma sono ormai datate e sarebbe necessario ridiscutere tutto.
Oltre che per lo specifico settore, una discussione del genere sarebbe essenziale in senso ancora più ampio, coinvolgendo tutte le altre forme di proprietà intellettuale.

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