Analista programmatore, consulente software e perdipiù donna

Anche nell’altra metà del cielo ci sono professioniste in grado di percorrere una carriera di solito appannaggio solo del mondo maschile? Vogliamo portare questa testimonianza per far capire alle nuove generazioni che tutte le strade sono aperte.

In azienda sono ancora considerati i superesperti, i dottori del computer, quelli che sanno cosa "succede dentro" e che sanno come farli funzionare. Durante questi anni, ne hanno viste di tutti i colori: sono loro che ci raccontano gli aneddoti più divertenti relativamente all’utilizzo informatico degli utenti finali. Nel mondo delle professioni ci siamo sempre occupati di carriere particolari ma non abbiamo mai dato voce a un professionista della programmazione, per giunta donna. Morena Ferraris, operando nel settore informatico da oltre quindici anni, prima come analista/programmatore dipendente e oggi in qualità di libera professionista consulente software nel settore dei gestionali, ci racconta le sue esperienze.

Perché ha scelto questa professione e come ha cominciato?


È stato per caso. Dopo le superiori ho iniziato a fare un corso all’Università Bocconi di discipline turistiche. Dopo un anno, avevo dato otto esami su sedici, quando ho saputo che per poter avere un patentino avrei dovuto sostenere un esame a Roma insieme ad altri 3 mila candidati. Sconfortata, ho deciso di rimettere in gioco la mia vita iscrivendomi a un corso di programmazione, anche se allora non si sapeva neppure come accendere un computer. Mi sono iscritta all’Enaip (Ente Acli Istruzione Professionale, una scuola riconosciuta a livello regionale, ndr): sono riuscita a passare l’esame di ammissione e ho iniziato. Mi è piaciuto e, dopo uno stage di tre mesi presso una azienda, ho sostenuto l’esame finale di programmatrice/analista, trovando subito lavoro presso un’azienda di Varese.



Quali sono state le difficoltà all’inizio?


Anche se la preparazione scolastica è buona, non si può prevedere come potrà essere il lavoro futuro. Oltre a conoscere il linguaggio di programmazione in modo da poterlo applicare sulle procedure, per me è stato importante comprendere le analisi: quando ti avvicini a una nuova procedura, la cosa basilare è la fase di analisi. Su un gestionale precompilato, questa è già stata risolta e viene spiegata in modo esaustivo dalle istruzioni, ma è ugualmente necessario capire come è stata sviluppata. Il linguaggio utilizzato è comune a tutti ma esistono diversi modi di programmare. Alcuni programmatori, per esempio, tendono a non commentare il perché una certa istruzione sia stata inserita in un certo punto del programma; questo significa che per poterla interpretare in modo corretto bisogna prima decifrare la metodologia di lavoro del programmatore che l’ha scritta. Diverso è il caso delle procedure create su richiesta esplicita di un cliente: qui è importante capire subito il problema specifico per poi stendere un’analisi che sia più vicina alla sua risoluzione. Molte volte gli utenti danno per scontato che il programma debba fare ciò che loro hanno bisogno e che fanno abitualmente, magari manualmente, e pretendono che un programmatore capisca ed effettui subito l’automazione. Non è così: bisogna fare mille domande per entrare nel merito del problema e, comunque, si rischia sempre di dimenticare qualcosa. Personalmente, preferisco lavorare a con il cliente per step progressivi, in modo da poter risolvere subito ogni impasse. Se si completa una procedura e poi si va dal cliente e subentrano delle problematiche, si rischia di dover rifare tutto il lavoro di programmazione. I primi tempi non sono stati facili: mentre a scuola ero supportata e aiutata dagli insegnanti mentre la mia prima esperienza di lavoro è stata un’arte dell’imparare… a proprie spese. Sono stata messa a programmare in Cobol, senza conoscere nulla sulla procedura gestionale (il famoso Spiga X di Esa Software). Ricordo ancora oggi che, per modificare il mio primo tracciato di fattura, impiegai una settimana. Da lì ho iniziato a capire che tutto era una sfida. Oltre alla programmazione, è stato stimolante avere la possibilità di instaurare un rapporto diretto con la clientela, approfondendo conoscenze su vari settori lavorativi e spaziando su più generi produttivi: dalle ditte metalmeccaniche a quelle alimentari, ai confezionisti.

Diamo un po’ di colore all’intervista: ci può raccontare qualche episodio divertente che le è capitato lavorando?


Non è molto facile ricordare tutte le cose buffe che ho visto e sentito nella vita lavorativa, anche perché di leggende metropolitane ne girano parecchie nel mio settore. Ad esempio quelli che archiviavano i dischi di backup, allora i vecchi 5″ 1/4, con la foratrice dentro nei Dox, e poi non riuscivano a fare i restore… io non li ho mai visti. Una cosa che mi ricordo e che mi fa ancora ridere è questa: facevo assistenza presso una ditta vecchio stile, dove entrando ti sembrava di fare un salto nel passato, anche perché le impiegate avevano tutte una certa età. Avevano come terminali degli M20, ormai pezzi da museo, e mentre io stavo spiegando come inserire i dati, ecco che la signora più anziana mi chiede con cipiglio: ” Dov’è il tacchino ?”. Sospendo la mia spiegazione e inizio a guardare fuori dalla finestra, domandandomi come mai in una ditta potessero tenere una animale di quel genere. La signora vedendo la mia perplessità insiste “Dov’è il tacchino ?” e io umilmente gli rispondo “Non lo so, da qui non lo vedo !”. A questo punto lei ribatte stupita: “Ma come, ogni volta che lei scrive sulla tastiera io il tacchino lo vedo apparire!”. Potete non crederci ma per lei il tacchino era… il cursore.




Lavorando nel mondo dei gestionali, com’è cambiato il mercato?


Nelle aziende sono cambiate le strutture e le esigenze organizzative: mentre in passato erano esaustive delle risorse limitate e gli operatori non erano esigenti oggi, trovandoci con addetti sempre più giovani ed evoluti, va per la maggiore l’interfaccia grafica. A mio parere invece, quando si parla di contabilità o di bolle e fatture, rimane sempre più semplice per l’operatore l’uso della tastiera. Apprezzo i gestionali odierni che rispettano ancora queste esigenze, offrendo l’opportunità di utilizzare entrambe le periferiche.

È vero che la professionalità in questo settore è discutibile?


Secondo me non è discutibile tanto la professionalità, quanto la modestia e l’onestà delle persone. Una società che ti obbliga a essere sempre “rampante” conduce, il più delle volte, le persone a peccare di modestia e forse nel nostro settore questo è sempre stato il peggiore difetto. Non vorrei essere fraintesa, ma in passato i programmatori o gli analisti venivano visti davvero come i maghi del computer, perciò alcuni si sentivano importanti a volte atteggiando un comportamento poco professionale e più ostentatore. Oggi questo mito è sfatato, grazie anche all’arrivo di Internet e all’introduzione sempre più incentivata dell’informatica nelle scuole. Un’altra cosa che è cambiata in positivo è il costo delle strutture hardware. Mentre una volta il computer era visto come la fonte principale del guadagno su una vendita e il software giusto un contorno, ora si è sensibilizzato molto il mercato che riconosce più importanza al software, anche se per l’utente finale è ancora un po’ difficile comprenderne i costi, visto che non è un oggetto tangibile come lo può essere una macchina. Per fortuna il mercato ha capito l’importanza che può avere un buon software nell’ambito aziendale.

Che significato ha per la sua professione l’aggiornamento? Internet ha cambiato i parametri della formazione professionale?


L’aggiornamento è la cosa più importante. Se non ti evolvi sei fermo. Ho appena finito un corso di Office avanzato, anche se nel mio lavoro non lo uso molto, ma è stato importante perché mi ha permesso di aiutare meglio i miei clienti, dandogli consigli su come usare queste procedure. Internet sta cambiando molto i parametri della formazione professionale, e li cambierà radicalmente quando tutte le aziende inizieranno a crederci realmente. Per ora noto molto scetticismo in merito, è vista ancora come un mondo di gioco e di scambio.

Per un programmatore oltre a una “vocazione” o passione, i linguaggi di programmazione presentano una continuità nelle logiche operative oppure è vero che, come avviene con i programmi di videoscrittura, ogni volta bisogna rimboccarsi le maniche e ricominciare da… tre?


I linguaggi subiscono le loro evoluzioni, come tutto il resto delle tecnologie. Nel caso del Cobol all’inizio ho usato il Level II, che aveva un’interfaccia decisamente a carattere, costruire le videate era un po’ macchinoso e anche le istruzioni erano limitate. Poi sono passata al Vs-Cobol, con cui era più facile gestire alcune istruzioni e avere videate più grafiche. Ultimamente sto usando Acu-Cobol, che ha fatto dei passi da gigante per l’aspetto grafico e per l’inserimento di nuove istruzioni, il tutto facilitato da un Case che permette di mappare graficamente le videate e i report, generando in automatico il codice: questo vuol dire evitare di scrivere righe e righe di istruzioni per completare il tuo programma. Tutto ciò è di difficile comprensione per chi è abituato a programmare con i nuovi linguaggi, visto che tutto è sviluppato in ambiente grafico, ma a me non sembra vero di poter riuscire a costruire una videata in un tempo ridotto e avere già tutti campi inizializzati, con una creazione automatica della documentazione.


Avendo sviluppato sempre in ambiente Cobol, posso affermare che il mondo a carattere è per ora quello più apprezzato dai “vecchi” operatori, forse perché ci sono affezionati, come me. Comunque dopo aver valutato molti gestionali di nuova generazione, con ovviamente l’uso di linguaggi più evoluti, mi sono accorta delle potenzialità più efficaci, rispetto ai linguaggi più vecchi. La cosa più interessante, ovviamente, è la trasportabilità del dato in ogni ambiente. L’unica cosa che mi lascia perplessa a volte e che forse persiste troppo l’uso del mouse, che per molti utenti è considerato scomodo. Un’altra cosa che manca è che molti gestionali sono troppo "recenti", e di conseguenza, poco testati Anche se tutti sappiamo che non esiste al mondo un programma che non abbia almeno un errore.

A che cosa si deve il salto verso l’attività di free lance?


Checché se ne dica, per una donna è sempre più difficile lavorare rispetto a un uomo: mancano le strutture. Il più delle volte, quando una donna rientra dal periodo di maternità non ritrova più il suo posto lavorativo o le sue mansioni precedenti, e viene un po’ "ghettizzata". In entrambi le mie maternità ho sempre lavorato, riducendo ovviamente il ritmo, perché soprattutto nel nostro settore se ti fermi è finita. Credo che, volendo, una donna si possa realizzare in entrambe le cose, se riesce a distribuire il tutto equamente. Ecco da dove è scaturita la mia decisione di diventare libera professionista, anche se parecchie persone mi avevano consigliato di rimanere come dipendente, visto che sei più tutelata, con ferie e con permessi, in caso di malattia dei bambini. Però ho preferito fare la mia scelta e non sono affatto pentita. Cerco di condensare al massimo il mio lavoro e i miei impegni quando le bambine sono all’asilo, o quando dormono, certo questo implica un po’ di sacrificio, visto che di sera invece di guardare un bel film seduta sul divano, a volte devo lavorare. Sono convinta che qualsiasi cosa fatta con amore e passione, indipendentemente dal tempo che gli dedichi, può permetterti di sentirti realizzata: sono più produttive poche ore con impegno e volontà che una giornata di otto ore trascorse in pura noia…

Le aziende sono pronte a gestire le nuove tecnologie?


Devo ammettere che è sempre più difficile avere rapporti con le persone. Mentre in passato si riusciva a lavorare con più armonia e si riusciva a instaurare un buon rapporto con il cliente, oggi è diverso. Trovi sempre più spesso persone impegnate e arrabbiate, con tutto e tutti: viviamo con ritmi frenetici. Con l’introduzione dei computer nelle aziende, spesso ci si è illusi di poter sostituire le persone. Negli uffici il personale è ridotto ed è costretto a occuparsi di svariate mansioni , è sempre oberato, lavora in modo frenetico e, di conseguenza, poco efficiente. Questo non è positivo, come pensano a volte i titolari dell’azienda che credono di avere risparmiato dei soldi sugli stipendi. Anzi: è molto pericoloso, perché se la persona si licenzia, la ditta si ferma, visto che dopo anni di esperienza non è facile sostituire subito una persona. Sono convita che tutti siamo sostituibili e nessuno è essenziale ma, a livello organizzativo, ci vorrebbe più omogeneità tra lo staff dei lavoratori e più persone dovrebbero saper fare lo stesso lavoro. Questo non è da considerare come perdita di denaro: è una potenzialità operativa che l’azienda acquisisce.

Quale potrà essere il suo futuro professionale?


E chi può saperlo? Devo ammettere che da quando non sono più dipendente ho avuto più tempo per documentarmi e fare corsi, rispetto agli anni da dipendente dove, purtroppo, non avevo stimoli per la mia curiosità professionale. Il mio futuro, e quello di altre persone come me, potrà essere quello della consulenza perché, come è vero che ci sono molti ragazzi informatizzati, è anche vero che non hanno quell’esperienza che persone come me possono trasmettere. Sotto l’aspetto professionale devo ringraziare la mia insegnante dell’Enaip, che ancora oggi mi informa sui corsi interessanti che mi possono servire, un mio ex professore, che ora sta sviluppando nuove procedure sui palmari. Non è da escludere che la mia curiosità arrivi a toccare un mondo così nuovo…

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