Amazon, Wikileaks e le brutte notizie per il cloud

La rimozione dai server di Amazon minaccerebbe il futuro del cloud computing e ipotecherebbe il futuro del paradigma.

Finora le preoccupazioni per la sicurezza dei dati venivano da attacchi -interni ed esterni- contro il fornitore.
Bisognerà forse preoccuparsi per attacchi provenienti direttamente dal fornitore?
Il caso Wikileaks sta aprendo nuovi fronti di discussione anche rispetto allo stato della contrattualistica.

“Il fornitore ha tagliato i servizi cloud, rendendo il cliente inaccessibile su Internet”, ha dichiarato Joseph Reger, Chief Technology Officer di Fujitsu Technology Solutions; “adesso molti potenziali clienti saranno costretti a riconsiderare se possono permettersi di mettere la loro It nelle mani di un terzo”.

Le informazioni provengono da un interessante articolo del Wall Street Journal a firma di Ben Rooney.

Secondo Amazon, WikiLeaks avrebbe violato i termini e le condizioni del contratto ed è possibile che il fornitore riesca a provare le sue accuse.
Ed è proprio qui la cattiva notizia per il cloud computing: se Amazon può interrompere il servizio così facilmente con Wikileaks, lo può fare qualsiasi fornitore cloud con qualsiasi cliente, mettendo in discussione sicurezza e disponibilità.

In effetti, la reazione di Amazon mostra la necessità di un approccio a livello di settore per contratti di servizio e codici di comportamento verso la quale già altre voci si erano levate.
Il cloud provider può decidere cosa è legale?
“Questo non è il lavoro dei fornitori”, sostiene Reger; “lo specifico deve essere giudicato da un tribunale di diritto”, e per essere più precisi “doveva essere risolto a livello europeo”. Più semplice a dirsi che a farsi, visto che la situazione giuridica della Ue è piuttosto frammentata.

Tecnicamente, comunque, diventa sempre più evidente la necessità di affermare un principio di diritto, secondo il quale le soluzioni debbano garantire la business continuity.

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