Alle aziende serve più intelligenza It

Il Cio è la figura di snodo tra le esigenze strategiche dell’impresa e l’innovazione. Deve capire il business e far crescere nel board il proprio ruolo

“Verso un pianeta più intelligente: sfide e opportunità” è stato l’ambizioso tema affrontato in un convegno promosso da Ibm, che ha visto come punto di partenza la presentazione di un’analisi sullo stato dell’innovazione presso le medie aziende italiane, condotta da Paolo Pasini della Sda Bocconi.

L’indagine, iniziata nel 2007, è stata aggiornata nel 2009 con 1.600 interviste a realtà medio-piccole, i cui interlocutori per il 78% erano rappresentati della proprietà o dal top management.

Dalle varie tabelle presentate, in sintesi, emerge il concetto che molte aziende hanno capito i miglioramenti che si potrebbero ottenere con un utilizzo più proficuo dell’It, ma il problema è che non riescono a farlo, vuoi anche per mancanza di skill.

In questo contesto, l’It manager viene ritenuto il responsabile dell’innovazione, ma viene visto ancora come una figura che non capisce le esigenze del business. Maggior attenzione viene, invece, data all’utilizzo del Web, visto come uno strumento che può aiutare a offrire servizi o prodotti in modo innovativo.

Anche Ibm ha condotto internamente varie indagini, sia a livello internazionale che nazionale, con l’obiettivo di indagare qual è il livello di consapevolezza dei Cio nel dover portare innovazione alla propria impresa. In particolare i 166 Cio italiani intervistati quest’anno sono consapevoli che la funzione It ha la necessità di anticipare significativi cambiamenti in risposta alla difficile situazione macro-economica in cui opera la sua azienda. E quindi hanno elaborato dei piani strategici che, in un’ottica di efficienza e risparmi, vedono tra le priorità un maggior utilizzo della Bi, una migliore capacità di analisi delle informazioni, l’adozione della virtualizzazione, l’armonizzazione delle applicazioni, la collaborazione con clienti e partner e le Soa/Web service.

A commento di questi risultati, Luciano Martucci, presidente di Ibm Italia, ha esordito sottolineando che «il mestiere dei Cio oggi è diventato molto più complesso rispetto al passato. Allora, quando era depositario della conoscenza tecnologica, aveva una vita più facile, mentre adesso è una figura di snodo tra le necessità strategiche dell’azienda e l’innovazione: deve far parte della direzione, deve saper usare la tecnologia, deve capire i processi di business, in definitiva il suo è un ruolo che richiede un impegno notevolissimo, di continua evoluzione e formazione».

I Cio sono per Ibm la controparte più immediata e tradizionale, sia nella grande che nella media impresa, ed è evidente, secondo Martucci, che il dialogo che la società vuole instaurare con loro, deve rispecchiare le diverse necessità settoriali.

«Di innovazione si parla tanto e continuamente – ha osservato – ma va declinata in un modo vero, perché senza innovazione non si cresce. Innovazione significa tante cose: innanzitutto, avere la lucidità e la capacità di individuare quali sono i processi che in un’azienda devono essere cambiati, dopo di che il processo non si realizza se non c’è l’It che è il fattore abilitante».

Sviluppare nuovi modi di produrre

Ma se la tecnologia viene usata correttamente diventa anche una intrinseca parte del prodotto, deve permeare l’azienda, per cui non va vista come una spesa ma piuttosto come un investimento. Ma è sbagliato anche da parte di chi la propone non saper dimostrare perché serve, quali vantaggi porta e le trasformazioni che può indurre, perché è necessario che la controparte capisca che non sta spendendo dei soldi ma li sta investendo.

«L’innovazione – ha proseguito il presidente di Ibm – è fatta di tante sfaccettature: abbiamo detto che i processi sono un fattore abilitante, ma è altresì importante tutta la parte dell’innovazione legata ai prodotti, il che significa nuove idee, nuovi materiali, nuove tecnologie e nuovi modi di produrre. In questo contesto, deve essere rafforzato il rapporto tra industria e università, perché è fondamentale conoscere e confrontare le rispettive capacità di fare ricerca e mettere in comune sforzi e conoscenza.

A livello di paese gli investimenti che si faranno in infrastrutture sono fondamentali per i noti motivi. Però, in Italia non è ancora chiaro che a fronte di queste iniziative c’è tutta una serie di possibili investimenti in tecnologia e in intelligenza in meta-infrastrutture, che sono quasi altrettanto importanti e che possono dare dei vantaggi molto durevoli nel tempo, sia dal punto di vista economico che occupazionale».

E Martucci ha fatto un semplice esempio, riferendosi agli Usa dove la distribuzione dell’energia è molto arretrata, per cui stanno cambiando l’infrastruttura, per eliminare gli sprechi giganteschi che da anni ci sono, mettendo più intelligenza dentro tutta la rete distributiva. Intelligenza che parte dal contatore elettronico, come quello che abbiamo installato in Italia in quasi tutte le nostre case, che serve ad attivare un processo di ottimizzazione del servizio, e va fino al consumo finale, con la possibilità di attivare significativi risparmi. Ma tutto questo impegno deve proseguire nel tempo, in quanto richiede manodopera qualificata, che vanno garantiti e protetti nel tempo.

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