Alla ricerca della NGN italiana

Gli effetti della crisi finanziaria chiedono all’Italia il salto di qualità come sistema. In particolare, cospicui investimenti nelle TLC, pensando al risultato e non al guadagno immediato. Una soluzione potrebbe essere la PA sul tavolo.

La realizzazione di un Next Generation Network italiano richiede un ammodernamento strutturale da 18-20 miliardi di euro. Sono finite le vacche grasse delle TLC italiane, ora bisogna investire ed è l’Autorità per le Comunicazioni a doverne scandire tempi e regole. E’ questo il punto forte di Gianluigi Magri, Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nella Sesta edizione della Tavola rotonda rivolta agli operatori del comparto organizzata a Roma dalle Economist Conferences.

In Italia è già stata organizzata una task force governativa, che potrà investire 1 miliardi di euro: l’équipe è affidata a Francesco Caio e le prime stime indicano che l’intervento avrà un effetto pari a 1,5 punti percentuali di Pil. Il miliardo va inteso come primo passo verso i 18-20 necessari, “ma si valuta che il sistema potrebbe iniziare a funzionare già con 12 miliardi”, precisa il Commissario.

Se l’Italia non è leader europeo nell’ultimo miglio lo è invece per le reti mobili. Questo elemento va considerato correttamente nella determinazione dei punti di forza d’un apparato produttivo storicamente instabile, che verrà ulteriormente messo alla prova dalla crisi finanziaria prima, economica poi.

Passano per il sistema-Paese anche l’adeguamento e l’integrazione di reti atipiche quali il GSM-R della rete ferroviaria e l’integrazione con rete satellitare. “Senza GSM-R, la rete ad alta velocità semplicemente non funziona”, ha esplicitato Michele Elia, Amministratore Delegato di RFI. La licenza in questione non permettere di vendere traffico a terzi, ma è ben possibile che in zone poco densamente popolate gli investimenti di RFI possano integrarsi con quelli dei privati o dello Stato onde garantire la copertura.

Proprio questo sembra un problema piuttosto mal gestito. E’ noto che la struttura geografica dell’Italia rende più difficoltoso che in altre nazioni raggiungere tutte le aree, ed è anche noto che da parecchio tempo la soluzione satellitare esiste e funziona, ma poco si fa a livello politico per colmare questo gap. “Politicamente parlando fa molto più effetto montare uno o più tralicci, ben visibili ed identificabili, che risolvere un problema in maniera invisibile”, ci ha detto Norbert Willems, CEO di Astra. E forse non tutti sanno che oggi il satellite è bidirezionale, quindi non richiede più di dialogare in upload tramite linea telefonica, alla faccia dell’ultimo miglio.

Dovendo concludere si può partire da un’osservazione classica. Una volta per le nuove tecnologie si cercava un mercato particolarmente ricco, condensato nell’espressione “killer application”. Oggi qualsiasi mercato libero si muove in una frammentazione a geometria variabile, nella quale spesso viene da navigare a vista. Secondo gli operatori di rete fissa e mobile, la base del futuro successo è nel video online, a palinsesto sia strutturato (IPTV) sia destrutturato. La fibra ha più banda della LTE mobile, ma le due reti vanno di pari passo e per questi colossi la ricchezza è lì. Forse è così, ma quand’anche lo fosse sarebbe valido per tutti e non colmerebbe la distanza con gli altri Paesi avanzati. Eppure da più parti si dice che l’Italia una killer application la avrebbe. “Portare lo sportello della PA in casa o in ufficio”, ricorda con forza Giuseppe Cerbone, Amministratore delegato di Ansa: sarebbe una svolta epocale per una nazione i cui singoli sono da sempre mal serviti per difficoltà ed attitudini.

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