Agenzia delle Entrate, tassazione agevolata per i premi di produttività 2010

Per l’agevolazione non serve “il pezzo di carta” ma è sufficiente che il datore di lavoro attesti nel Cud che tali somme siano state erogate in attuazione di uno specifico contratto o accordo e che siano legate all’incremento della produttività.

Il 54% ha creato dal nulla una nuova impresa e lo ha fatto
contando quasi esclusivamente sui propri capitali e soltanto il 12,1% ha chiesto,
e ottenuto, un prestito presso una banca per avviare l’impresa. Puntano sulla
qualità e considerano insoddisfacenti i servizi e le azioni di sostegmo. Questo,
in  sintesi, il quadro che emerge da una ricerca realizzata da Eures in collaborazione con il Centro Studi di CNA ed effettuata su un campione di 101 piccole e medie imprenditrici associate. La maggioranza delle
intervistate ha più di 40 anni il (70% ), vanta un’esperienza di oltre dieci
anni (73,3%), è diplomata (56,4%), risulta titolare della propria azienda
(53,5%) e lavora soprattutto al nord (51,5%).

Per quanto riguarda i settori di attività, le più
rappresentate risultano essere coloro che si occupano dei servizi alla comunità
(18,8%), moda (17,8%) e produzione (13,9%). Seguono le imprese che operano
nell’ambito artistico e tradizionale (11,9%), nella comunicazione e nel terziario
avanzato (10,9%). Quote inferiori al 10% del campione appartengono al settore
degli alimentari (8,9%), del benessere e sanità (7,9%), dell’istallazione e
impianti (6,9%) e soltanto 3 intervistate risultano imprenditrici nell’ambito
delle costruzioni. A causa anche delle piccole dimensioni, un’ampia maggioranza
delle imprese (il 62,4%) lavora prevalentemente in ambito locale o regionale, a
fronte del 27,7% che presenta un mercato su scala nazionale e di un marginale
2% che lavora principalmente con l’estero.

Un’indicazione particolarmente interessante riguarda la
presenza di familiari occupati all’interno delle imprese gestite da donne, che
evidenzia chiaramente un forte radicamento o comunque un forte coinvolgimento
della sfera parentale (59,4%) nell’esperienza imprenditoriale femminile. Tra
le intervistate che impiegano uno o più familiari all’interno delle proprie
aziende, sono i fratelli le figure più citate (66,3% dei casi), seguiti dai
genitori (63,4%), dal coniuge (62,4%) e dai figli (56,4%). È quindi il nucleo
più ristretto a partecipare della vita e del sostegno dell’impresa,
sottolineando indirettamente il ruolo sempre significativo dell’impresa familiare
nella tradizione della produzione artigiana.

Anche nella realizzazione dell’impresa tra le donne prevale
il “fai da te”: l’85,5% di coloro che hanno dato vita a una nuova
attività, infatti, ha elaborato personalmente il progetto, e il 63,4% non ha
utilizzato alcuno strumento di analisi di mercato, affidandosi soltanto alle
proprie capacità e intuizioni. In compenso, però, diffusa e prevalente risulta
invece la partecipazione a corsi di formazione sulla costituzione e gestione di
imprese (53,5%).

La maggioranza ha confermato una tendenza a innovare
prodotti e dei servizi: soltanto il 37,6% del campione registra infatti una
sostanziale staticità, mentre un’ampia maggioranza delle imprenditrici (il
55,4%) attesta un cambiamento “parziale”.

Il 55% delle imprenditrici punta sulla qualità come marchio
di riconoscimento; significativamente inferiori risultano le indicazioni che
fanno riferimento agli altri ambiti di eccellenza, quali l’immagine e la
reputazione (19,8%), l’originalità delle idee (14,9%), l’organizzazione del
lavoro (9,9%), e la capacità innovativa (6,9%).

Un aspetto di particolare interesse ha riguardato
l’applicazione, tra le imprese gestite da donne, di politiche aziendali attente
all’occupazione femminile. I dati evidenziano una maggiore solidarietà di
genere tra le intervistate con altre 40 anni, associata a una maggiore
consapevolezza della difficoltà delle donne di inserirsi nel mercato del lavoro
e di conciliare i tempi di vita con quelli professionali. Soltanto fra le
imprenditrici over 40 prevale infatti fortemente la tendenza ad assumere
personale femminile nel 58,9% dei casi e ad adottare contratti e orari
che favoriscano la conciliazione

Ultima importante annotazione. Le imprese femminili sembrano
aver “tenuto” durante la crisi: nessuna imprenditrice ritiene infatti che la
propria impresa abbia reagito in maniera “peggiore” di analoghe realtà presenti
sul territorio; al contrario il 74,4% giudica l’impatto della crisi sulla
propria attività meno negativo di quello prodotto in altre aziende. E questo
nonostante il giudizio fortemente negativo riguardo le politiche di sostegno
all’imprenditoria femminile.

Il livello di insoddisfazione espresso per le azioni di sostegno alle Pmi e alle imprese artigiane femminili
realizzate dai diversi soggetti istituzionali ed economici si conferma infatti ampiamente
prevalente In particolare per quanto riguarda la normativa italiana
soltanto il 7,9% ne promuove i contenuti, definendola “abbastanza adeguata”,
mentre il 92,1% delle imprenditrici esprime una valutazione negativa.

Anche il
livello di soddisfazione per le azioni a sostegno alle Pmi e alle imprese
artigiane femminili realizzate dai diversi soggetti istituzionali e privati si
attesta su valori molto bassi, risultando fortemente critico il giudizio delle
intervistate in relazione al Governo, le cui azioni sono reputate insufficienti
dalla quasi totalità del campione (91,8%). Una severa bocciatura riguarda anche
l’operato delle Amministrazioni locali, giudicato insufficiente dall’84,7% del
campione. Più alto, infine, il grado di soddisfazione per l’operato delle banche, che soddisfa comunque una quota minoritaria del campione (pari al
40,2%), anche se soltanto l’1% ne reputa “elevata” l’efficacia dell’operato,
che registra una prevalente bocciatura (nel 59,8% dei casi).

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