AgCom: web radio e web tv come radio e tv tradizionali

Fanno discutere i regolamenti emanati dall’Authority. Obblighi in materia di diritto d’autore, fasce protette, obbligo di rettifica.

C’è fermento in rete dopo la pubblicazione, da parte dell’AgCom, l’Autorità Garante per le Comunicazioni, dei due Regolamenti concernenti rispettivamente la prestazione di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica (in sostanza web-TV, IPTV e mobile TV), nonché la fornitura di servizi di media audiovisivi a richiesta.

Se con il decreto Romani gli aggregatori video, YouTube in primis, avevano tirato un sospiro do sollievo, essendo stati esclusi dagli obblighi che gravano invece sulle tv, con i nuovi regolamenti tornano di fatto a esservi equiparati, in particolare per quanto riguarda la responsabilità diretta dei contenuti pubblicati.
In particolare, fatta esclusione per le realtà più piccole e per i soggetti stranieri (dal momento che il regolamento fa riferimento al ”country of origin”, web tv e web radio i cui ricavi annui ”derivanti da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento” superino i 100.000 euro sono di fatto equiparati alle tv tradizionali, con tutti gli obblighi e le responsabilità che ne derivano.
In particolare, si parla di una tassa di 500 euro l’anno e soprattutto di responsabilità dirette in materia di violazione di copyright, di obbligo di rettifica per diffamazione e di obbligo di rispetto delle fasce orarie protette.

Tra le realtà che si sentono chiamate in causa, YouTube e DailyMotion, aggregatori per i quali sembra difficile se non addirittura impossibile garantire ad esempio il rispetto delle fasce protette. Per non parlare della violazione di copyright, con la possibile chiamata in causa del sito in quanto responsabile delle azioni compiute dai suoi utenti.
Tra le reazioni a caldo quella pubblicata sul sito di citizen journalism Youreporter.it, che parla di assurdo giuridico e di violenza alla realtà, sostenendo che non si possa ” trasformare iniziative spontanee degli utenti della rete in impresa editoriale”.

Fatte salve le reazioni spontanee, soprattutto da parte di chi si sente direttamente chiamato in causa, resta il forte possibilismo da parte di alcuni tra i più attenti osservatori della Rete, dubbiosi in primis sul fatto che i regolamenti davvero si possano applicare a realtà quali YouTube, difficilmente equiparabili a ” “servizi di media audiovisivi”, in secundis certi che i regolamenti stessi lascino ancora ampi spazi di valutazione in fase di stesura delle disposizioni attuative.
Tra i perplessi Stefano Quintarelli, che smorza i toni sottolineando come gli obblighi effettivi dovrebbero ridursi a cinque punti chiave: la tenuta del registro mensile dei contenuti, il rispetto del diritto d’autore, il rispetto delle norme relative alle comunicazioni commerciali, la promozione dei contenuti europei, il rispetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei minori.

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